Stragi dello Stato Islamico, la visita Usa alla Kobane esclusa dal negoziato, raid russi contro i salafiti che volano a Ginevra, una nuova base turca in Qatar: le notizie dalla Siria sono tasselli di un puzzle ogni giorno più chiaro, nell’apparente caos mediorientale. Un puzzle che spiega le ragioni dello stallo del negoziato sponsorizzato dall’Onu, non ufficialmente partito: ieri l’inviato de Mistura ha incontrato le opposizioni, rimandando il meeting con il governo.

Il primo tassello è il sangue di 71 siriani, versato domenica a sud di Damasco, a pochi passi dal sito religioso sciita Sayyida Zeinab, mausoleo che contiene le spoglie della nipote di Maometto e figlia di Ali, capostipite dello sciismo. Luogo di pellegrinaggio per milioni di sciiti e per questo protetto da milizie paramilitari e combattenti di Hezbollah, è il target simbolico ideale per lo Stato Islamico, nel momento in cui in Svizzera si dovrebbe discutere di pacificazione.

Il triplice attacco, rivendicato dagli uomini di al-Baghdadi, è reso più odioso dalle modalità con cui è stato perpetrato: prima un’autobomba, poi due kamikaze saltati in aria mentre venivano soccorsi i feriti. Le immagini che giungevano dalla capitale raccontavano l’inferno: un enorme cratere aperto sulla strada, auto in fiamme, palazzi danneggiati e anneriti dal fumo, 100 feriti che si trascinavano a terra.

Il messaggio inviato dal gruppo che controlla un terzo del paese è lapalissiano: il dialogo è fine a se stesso se non affronterà la minaccia “califfato”, sul terreno vera opposizione al governo di Damasco. Non servirà fino a quando non si impronterà il futuro governo di transizione anche sulla lotta al nemico comune, l’estremismo dell’Isis.

Il secondo tassello è il raid dell’aviazione russa che ieri ha distrutto le scorte di petrolio di Jaysh al-Islam, gruppo salafita da dicembre entrato a far parte della federazione delle opposizioni Hnc. L’Alto Comitato per i Negoziati, voluto dall’Arabia saudita (stretto alleato di Jaysh al-Islam) e fondato dai moderati della Coalizione Nazionale, ha nella propria delegazione il leader della milizia, Mohammed Alloush. Ieri Jaysh al-Islam ha fatto sapere di aver inviato un proprio team a Ginevra, pronto a sedersi al tavolo.

Considerato gruppo terrorista da Damasco e Mosca, non è stato mai accettato come partner per il dialogo. E il raid di ieri è un chiaro segnale del fronte guidato dalla Russia: non ci sarà negoziato con il gruppo né con Ahrar al-Sham, milizia islamista alleata dei qaedisti di al-Nusra. L’ennesima rottura in un dialogo già privo di basi comuni.

Il terzo tassello è la visita a Kobane di Brett McGurk, inviato speciale del presidente Usa Obama per la coalizione anti-Isis. McGurk è arrivato domenica nella città simbolo della resistenza kurda contro lo Stato Islamico e lì ha incontrato le Ypg, le Unità di difesa popolare del Partito dell’Unione Democratica (Pyd). Un meeting volto a stemperare le tensioni per l’esclusione dal negoziato di Ginevra del partito kurdo, dietro preciso diktat della Turchia: «La visita serve agli sforzi dell’inviato speciale nel cercare modi per fare pressioni sull’Isis», ha detto un funzionario Usa anonimo.

La vecchia strategia di un colpo al cerchio e una alla botte: i kurdi sono considerati validi alleati nella lotta all’Isis, ma non abbastanza quando si tratta di dialogo con governo e opposizioni, dove la Turchia ha ancora voce in merito. Se la simbolica visita a Kobane riconosce la centralità militare dei kurdi, la loro esclusione dal dialogo ricorda che la lotta all’Isis resta ai margini dell’interesse delle opposizioni e di chi delle opposizioni muove le fila, Golfo e Turchia.

A reagire è l’intero spettro kurdo-arabo: ieri il Consiglio Democratico Siriano, nato a dicembre dalla nuova compagine Forze Democratiche Siriane (alleate di Usa e Russia), ha sospeso la propria partecipazione al negoziato, a cui era stato invitato dall’Onu, fino a quando i delegati del Pyd non saranno fatti entrare.

Infine, l’ultimo tassello: la Turchia ha avviato la costruzione di una base militare per l’aviazione e la marina in Qatar. La cooperazione militare tra i due paesi non è una novità ed era stata cementata da una serie di accordi già la scorsa primavera. Ora diventa realtà tangibile, in un momento in cui le tensioni da guerra fredda tra Nato e Russia sono all’apice. La base servirà ai turchi – e di conseguenza al Patto Atlantico, che ha dato il beneplacito alla costruzione insieme agli Usa – a partecipare a operazioni nel Mar Rosso e nel Golfo, sfida aperta all’Iran e alla stessa Russia.

Che ieri ha indirettamente reagito pubblicando un video che mostra l’artiglieria pesante turca bombardare il territorio siriano. Secondo la tv libanese al-Mayadeen, vicina ad Hezbollah, è stato ucciso un soldato siriano in un’area in cui l’esercito governativo sta compiendo operazioni in chiave anti-al Nusra. Il generale Konashenkov, portavoce del Ministero della Difesa, ha chiesto alla Nato e al Pentagono «spiegazioni immediate».

Mosca ha poi confermato il dispiegamento di quattro Su-35 nel distretto nord di Latakia, a fini di sorveglianza e distruzione delle postazioni terroriste. Una risposta alle notizie pubblicate da media israeliani, secondo i quali il satellite di Tel Aviv Eros-B avrebbe individuato nei mesi passati 30 aerei e alcune batterie di missili terra-aria in una base militare di Latakia.