I fatti sono semplici. Due fratelli siriani di 14 e 16 anni che da molti anni vivono a Therwill, nel nord della Svizzera, si rifiutano di stringere la mano alle insegnanti donne a fine lezione perché la loro religione, in questo caso musulmana, vieta di toccare una donna non parente. All’inizio le autorità scolastiche concedono loro di astenersi da quella consuetudine, ma intanto chiedono lumi al cantone di riferimento, quello di Basilea Campagna. È finita che, per capire meglio che cosa sta succedendo in quella famiglia in cui il padre, un imam, ha fra l’altro rimandato due figlie in Siria prima che terminassero gli studi, le autorità elvetiche hanno sospeso la richiesta di naturalizzazione presentata dai due ragazzi. In Svizzera si è scatenato un acceso dibattito. Da una parte la consigliera federale Simonetta Sommaruga ha detto: «Non è così che immagino l’integrazione», dall’altra il portavoce del Consiglio centrale islamico svizzero, Qasim Illi ha aggiunto: «Dopo i fatti di Colonia, alla vigilia di Capodanno, è stato chiesto ai musulmani di mantenere le distanze dalle donne. Ora ci chiedete di avvicinarsi a loro». Quando ho letto quella dichiarazione ho fatto un salto sulla sedia. Ma come, Illi mette sullo stesso piano una stretta di mano con una molestia sessuale?

E perché darsi la mano è considerato così pericoloso da mettere in moto tutto un armamentario fisico-fobico? Anche da noi, per secoli, il contatto fra due corpi non benedetti dal matrimonio ha scandalizzato i moralisti. Poveretti, c’è da capirli perché si sa come vanno queste cose. Si comincia col toccarsi le dita, poi un braccio, si sale, si scende, si arriva al bacio e dopo tornare indietro è difficile. Anzi diventa alto il rischio di perdere il controllo e la ragione, di intraprendere strade nuove e inesplorate che chissà dove possono portare. Metti che poi vince il piacere sulla ragione, chi la tiene più la gente. Non è un caso se nelle favole di una certa epoca i due innamorati si baciano solo alla fine, dopo peripezie stoicamente sopportate e dietro richiesta di nozze.

L’altro tabù sul toccare riguarda il concetto di purezza personale da preservare. A proposito della vicenda di Therwill, l’islamista Paolo Branca, docente di Lingua e letteratura araba presso l’Università Cattolica di Milano e responsabile dei rapporti con l’Islam per la Diocesi di Milano, ha dichiarato a Famiglia Cristiana: «Anche un ebreo ortodosso o un rabbino non daranno mai la mano a una donna. Il divieto di venire in contatto con donne estranee è legato anche all’impurità rituale».
Nella legge ebraica la Neghiah, che vuol dire tocco, proibisce o limita il contatto fisico con membri di sesso opposto che non appartengano alla famiglia, ma in alcuni casi anche della famiglia. Un versetto del Levitico dice: «Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’immondezza mestruale». In ragione di ciò, sulla stretta di mano c’è tuttora un forte dibattito e si disquisisce sul se, quando e come è ammissibile trasgredire.

Non c’è che dire, i dogmi complicano la vita anche ai credenti perché si affannano a complicare ciò che la natura ci ha dato da usare così com’è. Nasciamo nudi, mica con il cappotto. E se lasciamo i bambini liberi, le mani le mettono dappertutto e non perché sono dei pericolosi peccatori, ma perché esplorare ed esplorarsi è il primo atto di conoscenza e fa parte di loro, di noi, della vita. L’idea di dividere il mondo e i gesti fra ammessi e non ammessi, puri e impuri ha dietro l’intento di separare, normare, controllare. Quello sì che è torbido, altro che stretta di mano.

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