Dopo un silenzio lungo 18 anni, i leggendari Tears for Fears sono finalmente tornati con il nuovo album The Tipping Point. Molto più di un semplice disco reunion, è composto da dieci nuovissimi brani che non cercano di replicare il sound unico forgiato da Roland Orzabal e Curt Smith negli anni 80. Ma rielabora, in chiave moderna, tutti gli elementi che contribuirono a rendere immortali dischi come The Hurting e Songs from the Big Chair, fra i lavori più belli usciti in quegli anni. Cambiano però i toni: se nel passato era il pop orecchiabile a farla da padrone, oggi la loro musica suona più oscura e inquietante. Come la prima dolente traccia No Small Thing, ballad acustica debitrice di Johnny Cash, la maestosa Please Be Happy, in stile McCartney, addolcita da archi e fiati e la straziante Rivers of Mercy, dedicata alla defunta moglie di Orzabal. Unica eccezione alla «frivolezza» di un tempo: lo scintillante synth-pop di My Demons che restituisce la loro malinconica euforia ma The Tipping Point rimane un disco catartico sulla perdita, il dolore e l’accettazione. Alcune tracce sono forse un filo iper prodotte, al punto da depotenziare la crudezza e la visceralità delle emozioni, ma rimane un ritorno graditissimo.
Il punto di svolta dei Tears for Fears
Note sparse. Il ritorno della band inglese con dieci nuovissimi brani che non cercano di replicare il sound degli ottanta
Note sparse. Il ritorno della band inglese con dieci nuovissimi brani che non cercano di replicare il sound degli ottanta
Pubblicato 2 anni faEdizione del 9 marzo 2022
Pubblicato 2 anni faEdizione del 9 marzo 2022