Dopo un silenzio lungo 18 anni, i leggendari Tears for Fears sono finalmente tornati con il nuovo album The Tipping Point. Molto più di un semplice disco reunion, è composto da dieci nuovissimi brani che non cercano di replicare il sound unico forgiato da Roland Orzabal e Curt Smith negli anni 80. Ma rielabora, in chiave moderna, tutti gli elementi che contribuirono a rendere immortali dischi come The Hurting e Songs from the Big Chair, fra i lavori più belli usciti in quegli anni. Cambiano però i toni: se nel passato era il pop orecchiabile a farla da padrone, oggi la loro musica suona più oscura e inquietante. Come la prima dolente traccia No Small Thing, ballad acustica debitrice di Johnny Cash, la maestosa Please Be Happy, in stile McCartney, addolcita da archi e fiati e la straziante Rivers of Mercy, dedicata alla defunta moglie di Orzabal. Unica eccezione alla «frivolezza» di un tempo: lo scintillante synth-pop di My Demons che restituisce la loro malinconica euforia ma The Tipping Point rimane un disco catartico sulla perdita, il dolore e l’accettazione. Alcune tracce sono forse un filo iper prodotte, al punto da depotenziare la crudezza e la visceralità delle emozioni, ma rimane un ritorno graditissimo.