Visioni

Il «Pueblo» reietto nella Roma di Celestini

Il «Pueblo» reietto nella Roma di CelestiniUna scena da «Pueblo» – foto di Piero Tauro

A teatro Piccoli vissuti quotidiani presi come pretesto per disegnare il grande affresco di una periferia abbandonata nel nuovo lavoro dell'autore attore romano

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 21 ottobre 2017

Piccoli vissuti quotidiani presi come pretesto per disegnare il grande affresco di una periferia metropolitana abbandonata e sofferente, Ascanio Celestini di nuovo si fa cantore del popolo reietto della sua Roma Est. Annunciato già col titolo, Pueblo (al Teatro Vittoria, fino al 29 ottobre, per Romaeuropa festival), l’autore-attore torna, per questa seconda parte della trilogia aperta da Laika due anni fa, all’umanità marginale del Quadraro, quella che ha incantato gli spettatori di Viva la sposa, il suo film presentato a Venezia nello stesso 2015.

Barboni, ladri, bambini abbandonati, prostitute e criminali incalliti, personaggi inventati ma reali, prendono vita con una delicatezza espressiva penetrante, come una punta sottile che ti buca il petto. Uno degli esiti di eccellenza nell’ondata di teatro di narrazione che a cavallo degli anni Zero ha invaso i palcoscenici italiani, Celestini regala qui un pezzo rispondente alle sue prove migliori e si conferma teatrante schierato e di denuncia.

Pueblo risulta coerente nella costruzione drammaturgica anche nei momenti in cui la coscienza autorale non può esimersi dall’innestare le tematiche più urgenti della nostra epoca. In scena con Gianluca Casadei, alla tastiera e fisarmonica, Ascanio è al centro di un baldacchino le cui tende si aprono verso la sala che è anche il cortile di un condominio. Da questa finestra, in un giorno di pioggia, il narratore osserva due donne, una giovane e l’altra vecchia, e si inventa di chiamare Violetta, la giovane con la vecchia madre e il padre morto.

Violetta che lavora alla cassa del supermercato e la sera torna a casa con un fantasma tascabile. E si inventa Domenica, la barbona che vive nel casotto del guardiano e raccoglie i carrelli, per questo le regalano i prodotti in scadenza. Domenica che si innamora di Said, il negro che fa il facchino e infila nelle slot machine tutto il poco che guadagna. Said che porta Domenica nel magazzino e in quel buio compaiono i 100mila morti annegati nel Mediterraneo. Domenica che da bambina col padre ladro impara a rubare i portafogli al mercato di piazza Spartaco. E poi lo ammazzano questo padre e lei finisce dalle suore cattive che le fanno leccare la pipì dal pavimento… In 70 minuti talvolta la voce vira al canto – come nell’album Parole sante – e come tessere di un puzzle i personaggi seguono il percorso narrativo, sublime e fantastico, fino a toccare le fasce di Van Allen.

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