Si dice, con ragione, che la democrazia diretta di massa, realizzata via web e non regolata dalle necessarie articolazioni e mediazioni, sia, in realtà, un terreno di cultura del totalitarismo. C’è chi argomenta questo rischio, sempre più concreto, sostenendo che quando tutte le opinioni hanno egual peso, le persone colte, intelligenti e responsabili sono accomunate alle persone ignoranti, stupide e irresponsabili.

Altri, più attenti alla complessità della questione, sostengono che nei luoghi in cui i pensieri non si esprimono in modo sedimentato, meditato, prevale inevitabilmente l’impulsività e la stupidità (cecità) anche tra le persone di più elevata istruzione.

La seconda delle spiegazioni è più attendibile. Non è vero che i cittadini più colti e intelligenti (dotati di un sapere più complesso) siano di per sé più responsabili degli altri. Sul piano etico/politico l’intelligenza è difficilmente misurabile. Non ha a che fare con l’elevato grado della sua acutezza, neppure con la scaltrezza o l’intraprendenza, ma con la capacità di sentire e di vivere la propria esperienza, valorizzando la presenza e il contributo degli altri. È quindi una qualità psichica complessiva e non solo mentale.

Il vero rischio dell’web viene dal fatto che la democrazia diretta se è ampia, universale, non può funzionare come un perpetuo «qui e ora».

Ciò ci fa vivere in una costante urgenza. Se le elezioni generali si svolgono ogni un determinato numero di anni, è perché così si favorisce un buon funzionamento psichico della collettività e l’equilibrio delle scelte.

Il cambiamento di opinione e degli stati d’animo è fisiologico, arricchisce il nostro modo di sentire e pensare. Crea un movimento tra prospettive diverse, un terreno fecondo facilitante lo sviluppo di sentimenti e di idee più stabili che ci orientano nella complessità della vita.

Se, tuttavia, i nostri mutamenti emotivi e mentali non dispongono di sufficiente tempo e spazio per la loro sedimentazione e elaborazione, diventano facilmente influenzabili da ogni fonte di perturbamento esterno e conducono a decisioni irragionevoli, superficiali.

La democrazia diretta è una risorsa formidabile, quando alloggia, senza diventare «assemblea permanente», in spazi culturali e lavorativi che favoriscono i legami personali e gli scambi fondati su un dibattito che non rincorre decisioni immediate. In questi spazi la varietà, molteplicità delle espressioni e delle idee fermenta processi di progettazione e non sfocia in pensieri in libera uscita o emozioni alla ricerca di scarica. A sua volta la democrazia indiretta, delegata, slitta sempre in forme di governo oligarchico, se non raccoglie lo spirito e la cultura degli spazi di democrazia diretta, se ne riduce la complessità delle espressioni.

La democrazia diventa un involucro formale, di regole, dispostivi ed istituzioni, se non riesce a costituirsi come modo libertario di sentire, pensare e essere dei cittadini. Di tutti i sentimenti che impegnano e ispirano il nostro pensiero, quello che più protegge la convivenza democratica è il pudore. La sua assenza diffusa è un indicatore sicuro di crisi democratica.

Il pudore viene dalla consapevolezza che l’esposizione delle proprie emozioni e pensieri ancora allo stato grezzo, che è propria di una pura reazione agli stimoli esterni, svilisce il proprio modo di essere. Nella direzione opposta segnala il pericolo di un’invasione della relazione con gli altri, la pretesa di significarla violandone l’intimità. In entrambi in casi l’eclissi del pudore distrugge la comune esperienza.

La distruzione dell’esperienza è incompatibile con la democrazia.