In una società ipermediata e «inquinata» da una mole eccezionale di informazioni, è normale che tutto giri attorno all’abilità di attrarre l’attenzione del pubblico/consumatore. Nel suo libro L’audience (Laterza, pp. 152, euro 17), Mariagrazia Falchi punta l’attenzione proprio sui bersagli di questo tiro a freccette, gli individui a cui sono destinati i messaggi: la «massa». L’attenzione delle cosiddette scienze sociali ha per molto tempo trascurato il destinatario diretto dei messaggi mediali, concentrandosi solo sulle tecniche per fare breccia nella nostra attenzione e nel nostro cervello. In tempi più recenti, come ricorda la Falchi, gli studi sono andati avanti anche su quest’altro fronte, cercando di capire quali fossero le risposte del pubblico ai messaggi che si trovava di fronte. Gli studiosi da allora si sono affollati in questo tipo di ricerche e il libro della Falchi è un utile compendio per chi volesse ricapitolare tutti i principali contributi fino all’epoca più moderna.

Non è tuttavia un libro che mira ad essere alla portata di tutti. Il livello di lettura è molto alto e richiede una conoscenza pregressa della sociologia della comunicazione e degli studi sull’industria culturale. Purtroppo la complessità dell’argomento e la specificità della materia sono ostacoli difficili da superare sia per chi scrive che per chi legge senza gli adeguati strumenti. Ciononostante, un indice intelligente contribuisce a fare il punto della situazione di volta in volta, aiutando nella lettura. L’argomento non viene affrontato in maniera cronologica, che in questo caso sarebbe stata piuttosto dispersiva, ma si procede per tipologie di audience.

La Falchi affronta la questione partendo dal concetto più arcaico, ovvero quello di pubblico passivo, dove lo spettatore era considerato come un soggetto inerme di fronte ai messaggi mediali. Seguendo le tipologie di pubblico trattate, il lettore tende ad collocare se stesso in una delle categorie individuate dalla scrittrice: audience ostile, attiva, performativa, responsabile e creativa. Ad ogni definizione corrispondono ricerche sociologiche approfondite che la Falchi non manca di sottolineare con perizia accademica. Probabilmente un «profano», che si approccia con curiosità alla tematica, non riuscirebbe ad assorbire a pieno un libro come questo; ma l’assunto di base è che la nostra capacità di rielaborazione e di deviazione dalla strada originariamente prevista non ci rende un mero bersaglio della comunicazione. Questo gli studiosi lo sanno già, ma è bene ricordarlo a tutti i fruitori del mondo multimediale, perché una conoscenza più critica possa portare lo spettatore a utilizzare la sua cultura come filtro, per una rielaborazione costruttiva dei messaggi che gli arrivano di volta in volta.

Per quanto riguarda invece le potenzialità del libro in riferimento al filone di ricerca, è evidente la sua funzione pedagogica di riepilogo, piuttosto che di contributo nuovo e informativo. Questa però non è da considerarsi una mancanza del libro, che pure è curato in maniera ottima a livello di forma e struttura, ma come una sua caratteristica. È evidente la volontà della Falchi di fornire una bussola d’orientamento e vari spunti di osservazione e ricerca ai giovani studiosi che cominciano ad addentrarsi nel vasto campo della sociologia dell’industria e del consumo culturale. I punti forti del testo, considerato il pubblico di riferimento, sono la precisione espositiva dei vari argomenti, una struttura che sicuramente agevola nella lettura e una completezza di analisi dell’argomento trattato. Non ci si può non aspettare, dall’altra, una scrittura piuttosto accademica; sarebbe stato sorprendente se la Falchi fosse uscita dai soliti, rigidi schemi, sforzandosi di semplificare degli argomenti che sarebbero da diffondere non solo a un pubblico universitario, ma anche ai semplici curiosi, per fornire strumenti di analisi e di protezione contro il bombardamento mediatico.