Le quattro formule per un possibile governo spagnolo di coalizione, con eventuali combinazioni di vicepresidenza e ministeri, suggerite da Unidas Podemos e nettamente rifiutate dal Psoe, raffigurano uno scenario negativo. Quelle alleanze di governo delle sinistre, valide in sei delle nove comunità presiedute dal Psoe, diventano irricevibili per il governo del paese.

Ora i socialisti non vogliono più Unidas Podemos nel consiglio dei ministri, vogliono governare da soli, senza una maggioranza assoluta, con l’appoggio esterno. I negoziati sono fermi allo stesso punto morto, quello che ha impedito l’avvio della legislatura prima delle vacanze.

La differenza sostanziale è che mancano una trentina di giorni alla data di scadenza, entro cui o si fa un governo o si ripetono le elezioni, per la quarta volta in quattro anni.

Adesso è manifesta la sfiducia del Psoe nei confronti di Podemos, finora suo partner preferito, che ha di nuovo tentato di riaprire la trattativa, chiedendo un governo progressista per una Spagna femminista, caratterizzato dalla lotta alla corruzione, per una transizione ecologica contro il cambio climatico, per il ripristino del diritto alla salute, alla casa, all’istruzione, al lavoro e alle pensioni dignitose per tutte e tutti, migranti compresi.

Quello che sostengono i socialisti per respingere la proposta avanzata da Unidas Podemos è surreale e sfida l’intelligenza.

Si dichiarano d’accordo a dare questo volto nuovo alla Spagna, invitano Unidas Podemos a trovare formule che facilitino un governo e un programma progressisti, però non vogliono un governo di coalizione con loro, per diffidenza, e sostengono che «ci sarebbero due governi nello stesso consiglio dei ministri», un governo nel governo.

Forse è l’inconscio che trapela, svelando contrapposizioni interne contrastanti: molti di questi obiettivi il Psoe non li vuole realizzare davvero, sono quelle «differenze importanti» che i due partiti mantengono, sono i poteri forti a cui i socialisti devono ancora rendere conto, è l’Europa che teme la voce in capitolo che potrebbe avere Podemos su questioni relative a economia e difesa.

C’è la questione di stato come la soluzione del conflitto in Catalogna e c’è lo scoglio dell’abrogazione della riforma del lavoro, realizzata da Rajoy. Questi i principali punti di attrito, sebbene il Psoe cerchi di esplicitarli il meno possibile. Per la questione catalana la proposta di Sánchez è nota: «dialogo all’interno della legalità, rispetto della Costituzione e rafforzamento dello Stato autonomo», ma incombe la sentenza del tribunale che, condannando a decine di anni di carcere gli ex membri del governo catalano, già in detenzione preventiva da quasi due anni, porterebbe a ingovernabilità la crisi territoriale.

Mentre sugli aspetti espliciti delle proposte di Unidas Podemos sui temi del lavoro e delle questioni sociali, su cui era stato firmato l’accordo di bilancio con il Psoe nella precedente legislatura, pesa oggi uno scenario europeo differente, emerso dalle elezioni del maggio scorso, che ha dato accesso al parlamento di Strasburgo ai partiti di estrema destra di tutta Europa.

La strategia di Sánchez, che si è espresso a favore della nomina della conservatrice Ursula von der Leyen pur sapendo delle nuove politiche di austerity che avrebbe attuato, non può essere quella di affrontare la nuova Ue, con un ventaglio di misure sociali che, qualora venissero realizzate, comporterebbero l’aumento della spesa pubblica. Sforamento parzialmente compensato da nuove tasse sulle banche e sui patrimoni, difficili da introdurre senza pestare troppi piedi, che avrebbe il parere negativo di Bruxelles, con conseguenze immediate sulla fragile ripresa spagnola.

A questo punto le posizioni tra Psoe e Podemos appaiono inconciliabili e ogni mossa, in particolare dei socialisti, è finalizzata alla gestione della responsabilità di una ripetizione elettorale. Podemos afferma con ragione che sarebbe irresponsabile costringere la cittadinanza a ripetere il prossimo novembre le elezioni, perché il risultato più probabile sarebbe un governo del Partito Popolare con ministri di Ciudadanos e di Vox, o che, nell’ipotesi più ottimista, ci sia una situazione simile a quella attuale.

Tra i sostenitori delle formazioni di sinistra si avverte incertezza e stanchezza, la sensazione di essere stati ingannati, si sospetta che i cambiamenti che Sánchez voleva per il Psoe fossero chiacchiere.
Il rinvio a settembre di ogni trattativa fra i due partiti, deciso a fine settimana scorsa da Sánchez, non può che seminare ulteriore smarrimento e soprattutto rendere felici le destre.