La «tensione all’universalità» dichiarata nelle prime righe del programma del Pd è probabilmente un equivoco. Nel senso che lo slogan con cui si aprono le 40 pagine – «Per tutti. Il cuore del nostro impegno degli italiani sta tutto qua» – è poi declinato nella riproposizione di quei bonus che hanno furoreggiato in era Renzi. A cominciare dalle due proposte principali, il riordino del sostegno ai nuovi nati (la necessità di «riaccorpare gli strumenti oggi esistenti» è forse un’autocritica?) che dovrebbe valere 400 euro al mese (con card) e gli 80 euro per ogni figlio (solo in questo secondo caso c’è un limite di reddito, molto alto: 100mila euro). Universalità e perequazione continuano a non stare assieme.
Un altro equivoco del programma è che la grande attenzione alla sostenibilità delle proposte – tutte assieme dovrebbero costare non più di una qualsiasi delle ultime manovre di bilancio (e cioè attorno ai 35 miliardi di euro) – una scelta fatta per contrapporre la serietà del Pd alle promesse degli altri partiti su tasse e reddito garantito, crolla sul finale quando l’annuncio è niente di meno che riportare il rapporto debito/Pil al 100%. Dal 132% in cui si trova. In dieci anni, si precisa, ma l’enormità dell’impegno (a spanne una ventina di manovre) abbatte di slancio tutte le promesse di destra e grillini sommate.

Il lancio del programma è anche la sede per qualche passo indietro. Per esempio sul salario minimo legale, che Renzi aveva annunciato di nove euro l’ora, cifra successivamente sparita. Adesso si affida la determinazione della somma a una «commissione indipendente» di sindacato, governo e imprese. E si accompagna con l’impegno all’attesa riforma della rappresentanza, che però viene presentata come una minaccia ai sindacati: «Per evitare che microsigle sindacali condizionino la vita di tutti i cittadini con scioperi selvaggi». Queste parole si trovano però solo sulla versione pocket del programma, quella divisa in «100 cose fatte e 100 cose da fare», destinata evidentemente a circolare assi più del programma vero e proprio. Altra differenza: solo nel volantino si annunciano l’assunzione di 10mila carabinieri e poliziotti e l’installazione di 50mila nuove telecamere di sorveglianza, le ragioni di propaganda sono evidenti.
Un altro passo indietro c’è sul canone Rai, che adesso Renzi non vuole più abolire per tutti ma solo per i meno abbienti. Sul resto delle tasse alle famiglia abbondano i propositi di riordino e semplificazione, i tagli sono pensati per le imprese. Taglio del cuneo di 4 punti in 4 anni (i costi delle aziende vanno a carico della fiscalità generale) e taglio dell’Ires fino al 22% «uno dei livelli più bassi in tutta Europa».

Una misura nuova è quella del sostegno ai giovani (meno di 30 anni) che vogliono andare via di casa: una detrazione di 150 euro dal contratto di affitto (che in genere viene aumentato di una cifra del genere quando non è proposto in nero). Renzi dice di essersi ispirato a Zapatero, che però offriva di più (210 euro, dieci anni fa) e aggiungeva una somma (600 euro) a copertura della caparra iniziale. In Spagna la legge è stata cancellata dal Partito popolare nel 2011.
Passando alle misure non quantitative, nel programma dei democratici c’è l’investimento sugli istituti tecnici superiori – l’assioma è sempre che la scuola è utile solo se prepara meccanicamente al lavoro – e c’è la proposta del servizio civile nazionale, ridotto però a un solo mese della vita.

C’è qualcosa sul capitolo giustizia, non sul volantino dove a dispetto degli sforzi del ministro Orlando per le misure alternative al carcere si promette la costruzione di nuovi penitenziari. Nel programma si accenna alla riforma del Csm indicando appena i due punti chiave: il sistema di elezione e la sezione disciplinare. In che direzione il Pd intenda muoversi si può solo intuire (magari dando un occhio alle candidature). Poi c’è un capolavoro di ambiguità nel capitolo riforme costituzionali: il Pd «non si tira indietro», e anzi recupera persino il termine «palude» che tanta sfortuna ha portato a Renzi nella campagna referendaria. Dove voglia andare però non lo dice. Mentre cosa voglia fare della legge Bossi-Fini, parliamo del reato di immigrazione clandestina, a questo punto è chiaro: non cancellarla, ma «superarne l’impostazione». È così da quattro programmi elettorali.