Redatto con un linguaggio accessibile, che non scade mai nel banale, giacché l’autore riesce a coniugare perfettamente la propria competenza di antropologo e il desiderio di condividere con i lettori l’esperienza intellettuale maturata negli anni, il saggio di Jean-Pierre Dozon dal titolo La vérité est ailleurs. Complots et sorcellerie (La verità è altrove. Complotti e stregoneria, edizioni della Fondation de la Maison des Sciences de l’Homme) analizza questioni di notevole spessore, che affondano le radici in mondi remoti, ma che mantengono un’incredibile pregnanza ovunque.

IN MODO ORIGINALE, il volume affronta, infatti, il tema della grande permeabilità e attualità di una logica «non scientifica» che pretende di spiegare le cause ultime di ogni evento – individuale e collettivo – riferendosi a cause oscure, quali la stregoneria (in Africa) o il complotto ordito da lobbies manipolatrici (nel mondo occidentale). Attraverso questa logica, spiega Dozon, si diffonde un pensiero globale che non contrappone più realtà e finzione, mondo visibile e mondo invisibile, ma li connette in termini di «doppio»: le cause «apparenti» di un fatto mascherano la «vera» origine dello stesso, da ricercarsi nell’influenza esercitata da potenze che, ai più, risultano inaccessibili. Qualche esempio permette di comprenderlo meglio: durante la recente crisi di Ebola nell’Africa occidentale (2014), parte della popolazione locale ha bollato gli operatori socio-sanitari quali possibili propagatori del virus, sorta di monatti inviati da forze nemiche per punirla o per ridurne l’energia vitale; medici e infermieri sono stati così accusati di spargere il contagio con gli stessi strumenti terapeutici con cui, pretestuosamente, dichiaravano di combattere l’epidemia.

Ma non è solo il continente africano a esprimere tale concezione cospiratrice: dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, l’allora presidente degli Stati Uniti, George Bush, ha parlato della necessità di costituire una crociata contro le forze del Male. Adottando un simile linguaggio, Bush rifletteva, quasi pedissequamente, il pensiero veicolato delle correnti cristiane neo-pentecostali, diffuse in America e non solo, che rimandano all’intervento nefasto e continuo, nel mondo, di entità diaboliche, da sgominare con il soccorso della fede, di cui sono portatori i «born again», i rinati alla comunità dei credenti.

Sussisterebbero dunque due ambiti che si sovrappongono, senza mai confondersi: quello degli iniziati (i quali conoscono la verità e sarebbero gli artefici di ciò che avviene, ma restano ben celati alla maggioranza) e quello della gente comune, resa cieca dall’ignorare quanto si svolge dietro le quinte. Per la sua ingenuità, quest’ultima è facilmente manipolabile, sia col ricorso a discorsi di ordine magico-religioso, passibili di scivolare, in specifici contesti sociali e culturali, in accuse di stregoneria, sia attraverso un «immaginario paranoide», magari virtuale, veicolato dai mass media (la televisione in primis) e dal cinema.

LO RAPPRESENTEREBBE, agli occhi di Dozon, appassionato spettatore di fictions (come ci ha confidato nel corso di una lunga intervista), il caso della fortunata serie X-Files, il cui sottotitolo – volutamente – l’antropologo ha ripreso nel suo scritto, per richiamare, in modo immediato, la visione di un mondo a due facce, dove misteriosi invasori, vicini e lontani, agiscono per turbare l’ordine stabilito.
Nato nel 1948, Jean-Pierre Dozon è oggi direttore di ricerca emerito all’Institut pour le Développement e direttore di studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociale di Parigi. Per anni, ha lavorato in Africa occidentale, occupandosi di argomenti diversi, che spaziavano dallo sviluppo, all’etnicità e alla salute, ma ha poi concentrato i suoi interessi sui fenomeni religiosi legati al periodo postcoloniale. È quanto ha realizzato, in particolare, con una serie di missioni sul campo nella Costa d’Avorio, dove ha rivolto la sua attenzione ai profeti neotradizionalisti, fra cui va annoverata la figura del noto taumaturgo Gbahié Koudou Jeannot.

PERSONAGGIO emblematico, fautore di un cristianesimo sincretico e fortemente critico nei riguardi della Chiesa, accusata di non saper combattere il male, Gbahié, negli anni 1980, è stato il promotore, nelle regioni meridionali della Costa d’Avorio, di una lotta «draconiana contro il feticismo e la stregoneria» imperanti, che la crescita economica (il cosiddetto «miracolo» nazionale) non avevano spodestato ma, al contrario rafforzato. Lottando contro le forze del male con le sue armi mistiche, però, Gbahié, al pari di altri profeti, non ha fatto altro che esasperare la credenza in una dimensione invisibile onnipresente, sostituendo a pratiche tradizionali ormai desuete o da considerarsi deleterie, strumenti mistici consoni alla nuova epoca, più performanti, perché dotati di poteri e di un’efficacia inediti, propri al messaggio espresso nel Vangelo, mezzo di lotta per eccellenza, nella battaglia contro ogni intromissione satanica.

COME ILLUSTRA Dozon rispetto al caso ivoriano, analogo, sotto tale aspetto, a quanto sta capitando in altri paesi del continente, per molti africani, il successo personale – negli affari come in politica – non viene mai ottenuto solo grazie al proprio impegno, ma è sempre frutto del sostegno di forze invisibili, suscettibili di operare, con «interventi mistici», a favore di coloro che ne sanno invocare l’aiuto, ma capaci – in parallelo – di danneggiare tutti gli altri. Nella logica della stregoneria, proprio come in quella del complottismo, le accuse di azioni malevole e le voci di crimini rituali si susseguono senza possibilità di verifica o, meglio, la ricerca di prove incontrovertibili – la dimostrazione dell’efficacia dei «maraboutages», come vengono comunemente designate le pratiche magiche che implicano, da parte di chi le svolge, l’appello agli spiriti– passa per una logica che esclude a priori l’incredulità, il dubbio sull’esistenza del lato invisibile della realtà.

È L’ESTREMA «PLASTICITÀ» della stregoneria, sottolinea Dozon, la sua adattabilità al mutare dei tempi e al saper cogliere, sempre, i fattori di crisi, per poi leggerli e spiegarne l’origine, che attira una clientela forse tacciabile di superstizione, ma soprattutto timorosa e ansiosa di risolvere i problemi posti da un quotidiano difficile, che la sovrasta e dal quale dipende.
«Attraverso le loro produzioni complottiste – conclude l’antropologo francese nel suo testo – , a dispetto di nette differenze che traducono, rispettivamente, forza e debolezza, egemonia e subordinazione, gli Stati Uniti e l’Africa occupano posizioni antitetiche, ma concorrono, insieme, a provocare il medesimo effetto globale di grande confusione della frontiera tra realtà e finzione».

LA STREGONERIA AFRICANA, insomma, e il suo contraltare occidentale, la teoria complottista, finiscono entrambe per inserirsi a pieno nell’attualità del capitalismo globale, con la loro pretesa di essere in grado di spiegare qualsiasi fenomeno, rinviando regolarmente la verità degli eventi a un altrove nascosto sotto la superficie, dal profilo inquietante e diabolico. Si tratta di uno schema semplificato (e semplicistico) che contrappone in maniera rigida il bene e il male, generando perennemente il dubbio, il sospetto, la gelosia nei riguardi dell’altro, percepito – nella sua diversità o estraneità – come una potenziale minaccia dalla quale ci si deve difendere.