L’effetto è quello del professore che torna e rimette ordine nella classe allo sbando. Enrico Letta da Parigi arriva al Nazareno e si capisce subito che-almeno per qualche settimana- la ricreazione è finita. Una relazione politico-tecnica quella che precede l’incoronazione bulgara del nuovo segretario all’assemblea Pd (860 voti su 872 presenti, 2 contrari e 4 astenuti.

Letta cita tutto il suo Pantheon, da Papa Francesco a Don Mazzolari, Prodi, Andreatta, Jacques Delors. E poi Sartre, Pirandello, Manzoni, “l’anima e il cacciavite”, per dire ai dem che “non vi serve segretario ma un nuovo Pd”. Un partito cui Letta si dedicherà nei prossimi due anni “da persona libera”, da uno che ha rinunciato ad una prestigiosa carriera accademica e ad altri ruoli retribuiti e suggerisce ai compagni: “Inutile stare qui a raccattare dei posti, c’è vita fuori da qui, la politica è una scuola di vita e prepara anche ad una professione diversa”.

E ancora: “C’è un non detto tra noi, le tensioni delle ultime settimane sulle primarie riguardavano chi tornerà in Parlamento. C’era una corsa a garantirsi i posti nell’idea che perderemo. Ma io non ho lasciato la vita di prima per venire a guidarvi a una sconfitta”. E ancora: “Sono stato uomo di corrente, ma l’attuale geografia del Pd non la capisco neppure io. Significa che c’è un problema, con questa sclerotizzazione non ci guadagna nessuno, credetemi…”.

Il tono è rassicurante, ma al contempo sfidante: Cita Pirandello “nel lungo tratto della vita ho incontrato molte maschere e pochi volti”, concetto che “si applica benissimo alla politica”. E poi ancora Sartre e l’identità: “Abbiamo dato l’immagine di una Torre di Babele”.

Dopo settimane di discussione avvitata “sull’ombelico”, le parole di Letta segnano un cambio di spartito. Una iniezione di visione,  partire dall’idea che “dopo la pandemia vivremo una stagione d energie come quella dopo il crollo del muro di Berlino”. Cita il bfano Wind of Change degli Scorpions, colonna sonora degli anni in cui la generazione di Letta si è formata.Cambio di passo anche nel rapporto con lo stare al governo.

“Nel 2018 siamo andati all’opposizione e ci stavamo rigenerando. Poi Lega e 5 Stelle rischiavano di far sbandare l’Italia fuori dall’Europa, e abbiamo dovuto intervenire”. “Ma se loro diventano europeisti per non è una bella notizia, non dobbiamo essere la protezione civile della politica, se siamo costretti al governo diventiamo il partito del potere e moriamo. Noi dobbiamo governare se vinciamo le elezioni, e si vince se non si è costretti a governare”.

Sul partito Letta intende cambiare molto: spalancando le porte ai giovani, all’associazionismo, con agorà fisiche e online. Ribadisce la sua passione per le coalizioni, propone “un nuovo centrosinistra su iniziativa e con la leadership del Pd”. Ne disegna il perimetro annunciando incontri con Speranza (Mdp), Bonino, Calenda, Fratoianni, il verde Bonelli. Cita anche Renzi, tra i partiti dell1 virgola, ed è l’unica perfida concessione a una rivincita personale.

“Incontrerò anche i 5 stelle, sapendo che non sappiamo ancora come sarà quel M5s. Lo faremo con rispetto a attenzione”. Obiettivo: “Vincere le politiche del 2023 contro le destre di Salvini e Meloni”. Sfida la Lega proponendo lo ius soli nell’agenda del governo Draghi. “Parte male, una cavolata”, la replica del leader leghista. Sullo sfondo si sente l’idea di un nuovo Ulivo, l’unica formula vincente nel 1996 e nel 2006. La priorità però adesso è la rigenerazione del Pd, l’apertura ai giovani: “Se continueranno a non votarci vorrà dire che ho fallito”.

Cita a più riprese le tasse per i giganti hi tech, il fisco progressivo, i posti di lavoro persi (con al centro l’occupazione femminile) la sostenibilità ambientale e sociale.  “Questo è il nostro tempo, il tempo in cui gli esclusi possono tornare protagonisti e noi siamo qui per questo». C’è spazio anche per una lunga agenda di riforme istituzionali: stop al trasformismo con regole più dure alle Camere, nuova legge elettorale, sfiducia costruttiva, legge sui partiti.

“Non sono qui per patti segreti o falsi unanimismi, il mio programma è questo…”, il messaggio. Poi arriva un voto praticamente unanime, con elogi da chi l’ha chiamato alla leadership (Zingaretti, Franceschini, Gentiloni, Orlando) e anche da chi ne avrebbe fatto volentieri a meno, gli ex renziani. Ma questo è il riflesso condizionato del Pd. Non finisce qui: nei prossimi giorni il prof. Letta distribuirà in tutti i circoli un “vademecum” con i punti salienti del suo programma, per iniziare una discussione che sfocerà in una nuova assemblea. La ricreazione è (o almeno sembra) finita.