Il processo per l’impeachment di Trump, la stagione dei Golden Globes e degli Oscar che una volta lui dominava, l’imminente Sundance Film Festival (un altro dei suoi palcoscenici più importanti), l’ombra di sospetto intorno al suicidio in prigione di Jeffrey Epstein, persino i cappotti rossi adottati da Rose McGowan e Rosanna Arquette per una manifestazione a New York, che chissa perché echeggiano quelli delle proteste per il clima portate a Washington da Jane Fonda… Il processo ad Harvey Weinstein inizia in una fitta nuvola di rimandi e di riferimenti politici e culturali. E una buona dose di incertezze.

SARÀ DURO, in questa prima fase, nell’aula del tribunale delle corte Suprema di New York, il lavoro degli avvocati difensori e di quelli della procura per selezionare i giurati – che non abbiano mai sentito parlare del caso Weinstein e, soprattutto, che non se ne siano fatti un’idea. Proprio in virtù di quella difficoltà, il team legale del burattinaio della Miramax aveva invano cercato di spostare il processo fuori dalla città di New York – centro nevralgico dell’orbita di Weinstein, che era un abituale protagonista della cronaca mondana ben prima di diventare il nemico numero uno dell’era # MeToo. Il giudice non ne ha voluto sapere. E, probabilmente nemmeno troppo per caso, proprio in sync con il primo giorno delle udienze, da Los Angeles lunedì è arrivata la notizia che due nuove donne hanno sporto denuncia contro il produttore, per stupro e molestie relativi a incontri avvenuti in un albergo nel febbraio 2013. Se mai Weinstein sfuggisse alle forche della procura di New York, quella di LA lo sta aspettando a braccia aperte.

COME SI SENTE sempre dire nei film, secondo la giustizia americana, «un imputato è innocente fino a che non lo si dichiara colpevole in un tribunale». Ma il caso Weinstein ha assunto un valore simbolico che va molto al di là del procedural legale. Negli ultimi due anni, sostiene infatti la legale di Weinstein, Donna Rotunno, il suo cliente è stato processato e condannato dalla corte dei media e dell’opinione pubblica – in aula, dice lei, le cose andranno diversamente… E ci sono fortissime pressioni sull’ufficio del District Attorney Cyrus Vance (ufficio accusato più volte in di aver preso alla leggera accuse di molestia che riguardavano uomini potenti in città, tra cui lo stesso Harvey Weinstein) perché mandi a segno una sentenza di colpevolezza.

Certo, su un centinaio di donne che hanno accusato Weinstein (molte delle quali fotografate in fila, vestite di nero, con le mani appoggiate sui fianchi e le gambe leggermente divaricate, come aspettando vendetta) in un servizio del settimanale «New York», sono solo due i casi che passeranno al vaglio del tribunale di NY – quello che riguarda una sua ex assistente (che lo accusa di averla costretta a sesso orale) e quello di una donna (ancora anonima, che lo accusa di stupro). Un terzo caso è stato ritirato per irregolarità commesse da un agente di polizia. Molte delle accuse sporte contro Weinstein, sono troppo vecchie per essere perseguite legalmente, e parecchie delle donne che lo hanno accusato hanno preferito optare per una causa civile (collettiva) che sta risolvendosi con un accordo da 25 milioni di dollari – nessuno dei quali sarà sborsato da lui.

WEINSTEIN e i suoi difensori continuano a sostenere che ogni rapporto è stato consenziente, e che testimonianze e corrispondenze comproveranno scambi cordiali tra il produttore e le presunte vittime anche dopo gli eventi sollevati dalle cause. Seguendo il modello del secondo processo a Bill Cosby, la procura intende tessere intorno ai due casi, l’immagine di un pattern di abusi sessuali regolarmente perpetrato nel corso degli anni. A questo proposito è stato concesso di introdurre le testimonianze di tre altre donne tra cui l’attrice Annabella Sciorra, che sostiene di essere stata violentata da Weinstein nel 1993.