La riorganizzazione del governo dei grandi musei statali varata dal Ministero dei beni e delle attività culturali (Mibact) non ha finora investito il «modello fondazione» scelto per la gestione del Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo che ha avuto esiti controversi e sollevato critiche da più parti, da ultimo anche dalla prestigiosa rivista Storia dell’Arte (n.40/2015) diretta da Maurizio Calvesi. Eppure tra i punti qualificanti la riforma avviata dal governo Renzi-Franceschini (Dpcm 171/14) figura la concessione, sia pure sotto vigilanza e coordinamento ministeriale, di autonomia operativa la cui carenza aveva motivato l’adozione legislativa di forme di gestione esternalizzata che si sono rivelate inadeguate. Spetta ora al Parlamento rimuoverle e ripensare il ruolo del Maxxi che, nel corso di un decennio, ha beneficiato di una spesa d’investimento amplificatasi a dismisura fino a triplicarsi: da 55 a 180 milioni di euro. Vediamo perché.

I «derivati» della Fondazione
Nonostante la ritrosia informativa di Maxxi e Mibact, il ricorso ad altre fonti ha permesso di enucleare le anomalie che hanno caratterizzato la nascita e il funzionamento della Fondazione Maxxi (legge n.69/09, governo Berlusconi-Bondi) e di quantificarne flussi finanziari. Alla Fondazione è stata affidata la gestione di una struttura assai costosa per l’erario (11,7 milioni di euro i trasferimenti nel 2014, di cui 6,5 milioni di contributi), più scenografica che funzionale (appena 10mila mq l’area espositiva su un totale di oltre 21mila mq), sede di due musei sovrapposti alle attività della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea (Gnam) della quale è lasciato in abbandono l’ampliamento di ottomila mq. (Ala Cosenza)

Prospettata per conseguire semplificazione burocratica ed elasticità operativa, la fondazione si è rivelata uno strumento utile ad ampliare al massimo la discrezionalità e ridurre al minimo la trasparenza nei processi decisionali. Così la scelta di far amministrare un museo statale da un ente privato ha portato prima a squilibri di bilancio e al commissariamento nel 2012; poi, con il nuovo Cda, alla nomina di un segretario generale privo di esperienze museali e del cinese Hou Hanru, esperto di mostre, a direttore artistico, figura non prevista dallo Statuto e sovraordinata ai due direttori responsabili. Ne è derivata un’abnorme moltiplicazione di mostre ed eventi, con lo svuotamento del museo dalle collezioni permanenti per un anno. Si deve invece a insufficiente vigilanza ministeriale la querelle sulla retribuibilità dei membri del Cda della Fondazione che, ricevendo contributi pubblici, non potrebbe erogare emolumenti agli amministratori, tenuti a svolgere l’incarico a titolo onorifico.

Con un escamotage il presidente del Cda, applicando la deroga prevista per gli enti di ricerca cui il Maxxi è stato arditamente equiparato, gode di un compenso che si accresce all’aumento di sponsor e visitatori sapientemente «adescati» da mostre, eventi a getto continuo e da intere pagine a pagamento sui maggiori quotidiani.
L’ambiziosità della «mission» assegnata alla fondazione («rappresentare in Italia il punto di eccellenza della creatività artistica contemporanea e internazionale…»), l’apertura al pubblico nel 2010 prima di completare l’allestimento del museo progettato nel 1998 dall’archistar Zaha Hadid e l’intermittenza dei finanziamenti, hanno dilatato i nodi gestionali di un museo nato «a tavolino», rallentandone il decollo.

Le pressioni dell’alta burocrazia ministeriale su governo e parlamento, prima per imporre la presenza del nuovo museo in posizione dominante, poi per sostenerne il difficile rilancio dopo il flop da commissariamento, hanno finito per incidere sulla stessa funzionalità dell’assetto museale preesistente. La costruzione del Maxxi si è così rivelata un’operazione funzionale più a soddisfare un intreccio di interessi imprenditoriali per lucrose commesse, aspirazioni professionali e ambizioni politiche, che a colmare pretese lacune strutturali per il contemporaneo.

Luoghi eccedenti
Numerosi sono infatti gli spazi per l’arte del Novecento e/o contemporanea di nuova istituzione o ristrutturati di recente. Non solo nei grandi centri urbani, come Milano (Museo del Novecento, Triennale, Pac, Galleria d’arte modena, Hangar Bicocca, Fondazione, Museo delle culture…), Torino (Castello di Rivoli, Gam), Venezia (Biennale Arte e Architettura, Giam a Ca’ Pesaro, Pinault Foundation a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana, Guggenheim Collection, Fondazione Prada a Ca’ Corner), Bologna (Mambo), Napoli (Madre, Pan), ma anche in centri minori come Rovereto (Mart), Bolzano (Museion), Lucca (Center of Contemporary Art).
Tuttavia a Roma è ubicato il nucleo museale ed espositivo più nutrito e prestigioso. Accanto a istituzioni consolidate (Gnam, Istituto Nazionale per la Grafica, Quadriennale), ruotano altre strutture pubbliche (due sedi del Macro, Palaexpo, Mlac-museo Laboratorio dell’arte contemporanea alla Sapienza, Scuderie del Quirinale, Museo Bilotti, Ara Pacis…), grandi spazi privati variamente motivati (dalla Gagosian Gallery alla Fondazione Museo Roma, al Maam-Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropolis di Via Prenestina) e una miriade di piccole gallerie.

Poche però sono le istituzioni realmente in condizioni di favorire una creazione artistica genuina e contribuire all’affinamento del gusto e allo sviluppo culturale. Prevale invece un approccio che punta allo sfruttamento commerciale di opere già esistenti accrescendone il prezzo di mercato con «mostrifici» che il Maxxi non ha contrastato. Va condiviso, dunque, quanto sostiene lo storico dell’arte Tomaso Montanari: «Non riusciamo ancora a costruire veri luoghi del contemporaneo, come prova il fallimento del Maxxi» (Repubblica, 2 agosto).
Risorse anti-crisi
A ben vedere lo Stato ha perduto il ruolo di garante per trasformarsi in competitor, sia pure per interposta persona: la Fondazione Maxxi che ha poi svolto una propria politica espositiva utilizzando in modo disinvolto i privilegi istituzionali e il patrimonio conferitole.
Non si tratta solo di trasferimenti indiretti (come la concessione in uso gratuito dell’immobile, di importanti collezioni d’arte e architettura contemporanea, di personale ministeriale…) e dei contributi diretti, elevati di fino a 5 milioni annui (legge 112/2013). Ad assumere valore discriminante è la riserva del 50% che la legge stabilisce a favore del Maxxi sugli stanziamenti del «Piano per l’arte contemporanea» per sostenere l’acquisto di nuove opere d’arte e attività di gestione. Ne risulta squilibrata la distribuzione delle risorse disponibili a danno delle altre istituzioni che si vedono menomate le potenzialità operative.

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Esterno del Maxxi. Foto Reuters

Fino all’ultimo sponsor
Né il sito, né il Rapporto annuale del Maxxi offrono dati puntuali del bilancio di esercizio, né si conosce numero degli ingressi gratuiti e introito di quelli a pagamento (non trasmessi al Mibact), indicatori non esaustivi ma necessari a valutare gli esiti della gestione. Il volume dichiarato delle presenze del 2013 (294mila), così come quello del 2014 (353mila), appaiono tuttora lontani dal livello registrato nel 2011 (450mila) prima del commissariamento. Il preteso boom di visitatori nel 2013 è drasticamente ridimensionato nel confronto con realtà museali ed espositive similari.
La graduatoria, costruita con i tassi medi di affluenza del pubblico alle mostre allestite nelle otto sedi esaminate, evidenzia come il Maxxi, malgrado il forte sostegno pubblico e la professionalità dei curatori, sia al di sotto di Hangar Bicocca, Palaexpo, Castello di Rivoli, Mart e al di sopra soltanto di Mambo, Madre, Gnam e Macro. Quanto al 2014, nonostante il più che raddoppio delle mostre (da 18 a 37) e degli eventi (da 180 a 380) i visitatori al Maxxi si sono accresciuti appena del 20% (+62mila). Il protrarsi di un eccesso di offerta culturale nel contemporaneo rispetto a una domanda calante alimenta una lotta spietata nella cattura di visitatori e di risorse per la sopravvivenza. In questa logica si colloca la sponsorizzazione dell’Enel di 600mila euro annui in cambio di un posto nel Cda del Maxxi. Non è dato sapere se sia l’esito di una gara rispettosa delle regole Ue sulla concorrenza per la scelta di sponsor di soggetti pubblici. Certo è uno «scippo» al Macro che perde il tradizionale sostegno dell’Enel.

Vie d’uscita
Per superare le attuali incongruenze la soluzione di first best è l’abrogazione delle leggi istitutive del Maxxi riportandone i musei nell’ambito della Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea, ora dotata di autonomia gestionale. La Gnam dovrebbe cedere le collezioni dell’ottocento e riprendersi le opere dell’ultimo quarto del novecento in poi conferite al Maxxi ed esporle nella retrostante Ala cosenza, interrompendone così il progressivo degrado. Una soluzione ragionevole che risponde all’esigenza di testimoniare la continuità storica delle creazioni contemporanee nonché di contenere i costi e assicurare il coordinamento ministeriale. Quanto all’edificio di Zaha Hadid, con adattamenti da combinare con la prospiciente area dismessa di 30mila mq dell’ex Stabilimento Militare Materiale Elettrico di Precisione, potrebbe essere destinato a sede di uno dei tanti musei nazionali che effettivamente mancano a Roma: quello della scienza, quello della Shoah, quello storico.
In attesa che il legislatore decida, servono interventi di tipo strategico e riorganizzativo. A esempio, anziché privilegiare mostre temporanee ed eventi di altalenante qualità e spessore culturale, si dovrebbero valorizzare le collezioni permanenti. Innanzitutto consentendone la completa visione al pubblico (dopo un anno di chiusura nei depositi, non basta esibirne dal 10 ottobre solo una piccola parte in un’unica sala) e migliorandone la fruizione: visite guidate e pannelli didattici ovunque.

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Performance dentro al Maxxi, 2009. Foto Reuters

Qualche proposta
Poi sviluppandone la consistenza, favorendo la maggiore presenza di «artisti all’opera» e la creazione di installazioni site specific. Nella politica degli acquisti, nella definizione della programmazione delle attività e dei relativi servizi di supporto, andrebbe poi sollecitato il contributo propositivo dei visitatori e del personale che dovrebbe essere rappresentato nel Cda della Fondazione. Per valutare l’opportunità di un rilancio su nuove basi, decisiva resta comunque una maggiore trasparenza nella gestione.
Aiuterebbe a capire se gli ingenti finanziamenti che lo Stato, nonostante i tagli generalizzati, eroga al Maxxi sia per la spesa corrente che per gli investimenti (la legge n.133/14, Sblocca Italia, gli assegna nel 2015 altri 3,5 milioni di euro per un parcheggio sotterraneo di ben mille posti) siano più proficui di altri impieghi sociali come la costruzione/manutenzione di scuole, ospedali… L’adozione di un sistema open data, che renda liberamente accessibili e utilizzabili tutte le informazione relative agli esiti delle varie attività, e la pubblicazione sul sito ufficiale di un «bilancio sociale», che calcoli il «valore aggiunto netto della produzione culturale» del Maxxi, offrirebbero i necessari elementi conoscitivi.

SCHEDA

Alessandro Monti, già professore ordinario di Teoria e politica dello sviluppo presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino, dove è stato docente di Scienza dell’amministrazione e ha presieduto il corso di laurea in Scienze politiche, ha insegnato negli atenei di Roma La Sapienza, Viterbo, Ferrara e Kyoto e fatto parte del consiglio universitario nazionale. Tra le sue pubblicazioni in materia di economia e politica dell’arte e della cultura: «Assetti organizzativi e strumenti normativi per la gestione e lo sviluppo sostenibile dei musei pubblici» (2006) e il recente pamphlet «Il Maxxi a raggi X, Indagine sulla gestione privata di un museo pubblico», Johan & Levi Editore, 2014