Erica Sherover-Marcuse lo ha chiamato «allenamento al ruolo dell’oppressore» riferendosi alle persone bianche dentro la struttura del razzismo, un sistema che comporta – a osservarne i tratti – la conoscenza della formazione specifica di bianchezza e mascolinità. Da questa prospettiva, prende avvio il volume di Valeria Ribeiro Corossacz Bianchezza e mascolinità in Brasile. Etnografia di un soggetto dominante (Mimesis, pp. 153, euro 14) che si compone di materiali provenienti da una ricerca condotta tra il 2009 e il 2012, rielaborati, aggiornati e corretti rispetto le prime stesure.

Il lavoro dell’autrice, che insegna Storia e teorie dell’antropologia all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e che ormai da venti anni conduce ricerche sul campo in Brasile lavorando, in particolar modo, sulle relazioni sociali tra i sessi, il razzismo e il femminismo posizionandosi secondo un metodo intersezionale, ci porta alla scoperta di uno studio basato sulle narrazioni di un gruppo di uomini bianchi, 21 compresi tra i 43 e i 60 anni, di classe medio-alta, abitanti nei quartieri ricchi di Rio de Janeiro.

Ciò consente di mettere a nudo un’antropologia dei gruppi dominanti, indagando la condizione di privilegio che riproducono le disuguaglianze sociali. Entrare allora nella categoria della «differenza», definendone dapprima il rapporto e in seconda istanza il referente di quel rapporto, indica certamente un guadagno.

Lo spiega bene Colette Guillaumin a cui Ribeiro Corossacz fa riferimento quando riferisce come «il significato ideologico della differenza è la distanza dal Referente». Se di genere e colore è segnata questa differenza, soffermarsi sulla bianchezza nel contesto brasiliano concorre a individuare «il referente occultato del razzismo» ma soprattutto a definirne i dettagli interrogando quella che Audre Lorde aveva definito «norma mitica» riferendosi agli Stati Uniti.

La comunanza del privilegio di essere maschi bianchi, eterosessuali, benestanti e giovani è allora riscontrabile in diversi contesti. Ribeiro Corossacz tuttavia decide di confrontarsi con una normatività non di massimo grado e quindi include nella sua ricerca anche il «contrappunto» degli omosessuali.

«Bianchezza e mascolinità – spiega l’autrice – sono intese come esperienze sociali determinate dal contesto storico-culturale del razzismo e del sessismo, ovvero come condizioni che hanno significato solo nella relazione sociale tra bianchi e neri, tra uomini e donne». Nella società brasiliana la strutturazione di entrambe le categorie rappresenta quindi la sostanza del privilegio.

Il campo dei critical whiteness studies, di fatto interdisciplinari prediligendo una lente tra l’antropologia e la sociologia, viene a corroborarsi della critical race theory che ha come protagonisti studiosi africano-americani, latinos e attivisti. In questa direzione, analizzare allora la bianchezza, la sua possibilità – e il potere – di autonominarsi da parte di alcuni gruppi risponde all’immersione nel processo di espansione coloniale che percorre le pieghe materiali della trasformazione capitalistica. Elemento centrale del passaggio tra passato coloniale e presente è sicuramente l’empregada, e alcune narrazioni sull’iniziazione sessuale che contribuiscono alla costruzione di una singolare esperienza etnografica.