C’è un’immagine che più d’ogni altra immortala l’aurea di onnipotenza che per anni ha cinto il regno di Peppe Scopelliti in Calabria. Scilla, 27 luglio 2012, Castello Ruffo di Calabria. Unirsi in matrimonio nella maestosa cornice della fortezza affacciata sulla Costa Viola è un privilegio riservato a pochi. Quasi a nessuno. Ma se ti chiami Scopelliti questo maniero di rado concesso per banchetti di nozze può trasformarsi d’un tratto in una sala ricevimenti per grandi occasioni. E’ lì che Consolato Scopelliti detto Tino è convolato a nozze con Gisella Punturieri suggellando una vita all’ombra del potente fratello.

Dopo la laurea (ottenuta per via telematica) e una malcelata ambizione a diventare capo del Coni Calabria, Tino si era deciso a fare il grande passo (per la seconda volta). Un nuovo matrimonio ma questa volta principesco, tra fasti ed ostentazioni di potere. Duecento invitati a glorificare lo «scopellitismo». I figli del popolo assurti ad aristocratici signori di Reggio. Era la terza volta che il comune scillese dava il via libera per tali festeggiamenti nel suo luogo simbolo. Era già successo per le nozze del presidente della Provincia, Peppe Raffa, e per quelle di un congiunto dell’ex sindaco, Pietro Panuccio. Sorte diversa ebbe invece la richiesta di Demetrio Naccari Carlizzi. L’ex sindaco di Reggio fu costretto a ripiegare altrove per il suo ricevimento nuziale per un ripensamento dell’allora sindaco, Gaetano Ciccone. Ma come in una nemesi, beffardamente, e per quella legge non scritta di nome contrappasso, è partita proprio da un esposto di Naccari l’indagine che, giunta a sentenza, ha decapitato ieri il regno di Scopelliti. Che rischia seriamente di celebrare nelle patrie galere ogni futura ricorrenza.

Altro che rocche e castelli. I suoi guai giudiziari non finiscono con il caso Fallara. L’elenco è sterminato. A Catanzaro il presidente è imputato per abuso d’ufficio per la nomina a capo del dipartimento controlli di Alessandra Sarlo. È in buona compagnia. Coimputato è Mimmo Tallini, camerata dai tempi del Fronte, che Scopelliti ha voluto con sè in giunta regionale, e attualmente nella bufera per la cosiddetta «Catanzaropoli». Sarlo è anche la moglie del giudice Vincanzo Giglio, in carcere dal novembre 2011, condannato a 4 anni e 7 mesi per essere stato a libro paga dei Lampada, cosca apicale della ‘ndrangheta lombarda. La sentenza di condanna di ieri non è stata, tuttavia, la prima per Scopelliti. Tra qualche mese sarà, infatti, la Cassazione a decidere se confermare la condanna ad un anno per la discarica di Longhi Bovetto, una cava di rifiuti paurosamente troppo vicina ad una scuola. Due mesi fa era arrivata, invece, la seconda sentenza della Corte dei conti per l’Italcitrus. Scopelliti era ancora sindaco quando venne approvato l’acquisto di questa ex fabbrica per la lavorazione degli agrumi. Un rudere di archeologia industriale ma valutata quasi 2 milioni. Lì sarebbe dovuta sorgere la nuova sede Rai. Ma i lavori non hanno mai avuto inizio. Scopelliti, ha sentenziato la magistratura contabile, dovrà risarcire 300mila euro. E, come se non bastasse, ci sono poi le inchieste in corso. Quelle che scottano. Quella sulla sanità, quella sul doppio incarico affidato al fedelissimo Franco Zoccali, quella sulla Fondazione Campanella. E, dulcis in fundo, i rapporti ‘ndrangheta-politica.

Scopelliti non è indagato in alcun procedimento ma il suo nome compare a iosa nelle deposizioni di pentiti ed è impresso nei nastri delle intercettazioni telefoniche. Al processo Testamento, così parlò il pentito Roberto Moio: «… riguardo a Peppe Scopelliti, parlo in anni, in anni passati, che ci furono… tramite Antonio Franco lo aiutammo moltissimo. E all’epoca lui si portava… lui praticamente si votava… mi sembra che per quel periodo c’era la votazione…praticamente Antonio Franco sindaco, e Scopelliti…presidente della Regione, che è attualmente…». Al processo Meta, il colonnello dei carabinieri Valerio Giardina, approfondendo i rapporti tra ‘ndrangheta e politica, si soffermò sul 15 ottobre 2006, giorno in cui si celebravano le nozze d’oro dei coniugi Barbieri, genitori dei due imprenditori Domenico e Vincenzo. Secondo Giardina quel ricevimento ospitò esponenti di spicco della criminalità organizzata nonché rappresentanti della politica e delle istituzioni. Tra cui Scopelliti. Che, ha concluso Giardina, può vantare «reciprocità relazionali con i vertici della ‘ndrangheta di Villa San Giovanni, oltre ai legami di suo fratello Consolato relativi agli appalti pubblici del comune di Reggio». Forse è proprio vero: a salvare Scopelliti può esserci solo un seggio dorato (e blindato) a Strasburgo.