La Grecia oggi si ferma, per lo sciopero indetto dal sindacato dei dipendenti pubblici Adedy, e dal Gsee, che rappresenta i lavoratori del settore privato. E incrociano le braccia anche i medici, i farmacisti, i giornalisti, i portuali e una parte anche di chi lavora nei trasporti. È il primo sciopero da quando Syriza è al governo insieme al partito dei Greci Indipendenti e si tratta di una mobilitazione contro le politiche di austerità imposte dell’Europa, contro il rischio di ulteriori tagli alle pensioni, per cercare di fermare chi vorrebbe abrogare la legge che permette a coloro che hanno debiti verso lo stato, di saldarli in cento rate mensili.

Tutti i mezzi di informazione vicini a Syriza, fanno notare che il partito di Alexis Tsipras, per vocazione politica, ma anche per profondo realismo, si augura che la mobilitazione abbia il più grande successo possibile. Per dimostrare alle istituzioni creditrici – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che insistere sulle ricette neoliberiste che negli ultimi cinque anni hanno costantemente impoverito il paese, potrebbe mettere seriamente a rischio la coesione sociale.

«Diamo una risposta dinamica alle pressioni dei datori di lavoro e ai ricatti dei creditori», è l’invito e l’incoraggiamento del partito di Syriza su Twitter, mentre la sezione lavoro della Colazione della Sinistra Radicale ellenica sottolinea che «mentre continuano le trattative, le richieste dei lavoratori e la loro mobilitazione acquistano particolare utilità, e devono venire valorizzate contro le politiche neoliberiste e ricatti dei centri di potere politico».

Syriza di lotta e di governo quindi. Una formula abusata ma sicuramente valida per il partito di Tsipras, che nell’agosto scorso ha firmato un compromesso, ribadendo che non era certo l’accordo che desiderava, ma che non si poteva mettere a rischio l’immediato futuro dei cittadini. Il sindacato Gsee accusa il governo di «continuare le politiche punitive dell’austerità» e di «applicare un nuovo, duro memorandum, con pesanti condizioni». Ma l’esecutivo Tsipras risponde con la prosecuzione delle trattative con i creditori, per cercare di salvare le prime case delle famiglie indebitate. La tranche di aiuti di due miliardi che avrebbe dovuto essere concessa lunedì scorso, è stata rimandata proprio per il rifiuto del leader greco a cedere a richieste della «nuova Troika», considerate punitive.
Secondo le ultime indiscrezioni, si potrebbe giungere a un accordo entro l’inizio della prossima settimana, salvando dalla confisca e dalla vendita, circa i due terzi delle prime case dei cittadini indebitati. All’ultimo eurogruppo, il sostegno più convinto alla Grecia sembra essere arrivato nuovamente da Parigi che ha messo sul tavolo una proposta che dovrebbe proteggere le prime case con valore sino ai 280.000 euro, se il reddito annuale del nucleo familiare del proprietario non supera i 30.000 euro.

L’esecutivo di Atene, quindi, è alla continua ricerca di alleanze che permettano di combattere l’insieme delle logiche neoliberiste. È per questo che si segue con fortissimo interesse quello che sta accadendo in Portogallo, mentre ci si aspetterebbe, anche dall’Italia, un sostegno più convinto. Si tratta di uno spazio di manovra indubbiamente molto stretto, nel quale il governo greco si sta muovendo sì con realismo, ma anche tenendo ben presenti i propri valori.

Syriza sostiene lo sciopero di oggi anche perché sta compiendo continui sforzi per riuscire a rimettere in vigore i contratti collettivi di lavoro, spariti con il consenso dei governi di centrodestra, e per rafforzare, allo stesso tempo, il ruolo stesso dei sindacati. Perché il paese, seppur stremato, accoglie quotidianamente nuove ondate di profughi, ma chiede che si tenga pure conto degli abitanti di isole dell’Egeo, che non ce la farebbero a sopportare, in questa fase, gli aumenti dell’Iva. E anche l’iniziativa di accelerare l’iter dell’approvazione dei patti di convivenza per le coppie omosessuali, è da inquadrare nella stessa ottica. Quella di un governo che cerca tutti gli spazi possibili per mostrarsi coerente con le promesse fatte in campagna elettorale.