Dalla fine della seconda guerra mondiale la questione delle radici cristiane dell’Europa ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel magistero della Chiesa. Già per Pio XII la nuova Europa in costruzione doveva essere modellata sulla cristianità medievale. Sviluppando l’insegnamento dei suoi predecessori, è stato però Giovanni Paolo II a rilanciare prepotentemente il tema. Papa Ratzinger si è mosso lungo la stessa traiettoria. Già con la scelta di chiamarsi Benedetto XVI (il nome del papa che era giunto a definire la Prima guerra mondiale un’«inutile strage», ma anche – se non soprattutto – del primo santo patrono d’Europa), ha rimarcato la centralità del vecchio continente nel programma del suo pontificato. Tuttavia, ci sono state alcune significative differenze. Lo storico Sante Lesti della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha da poco concluso un lavoro di ricerca sulla questione delle radici cristiane d’Europa.

Quando e come è scaturita la riflessione di Ratzinger sulla matrice cristiana del continente europeo?
A partire dagli anni Settanta Ratzinger inizia a concepire l’Europa come una realtà culturale, spirituale e non solo geografica; come luogo d’incontro tra il Dio d’Israele e il pensiero greco classico. Per lui il cristianesimo è stato la sintesi che ha dato l’impronta alla storia del continente. Da prefetto della Congregazione della dottrina della fede, si dichiara convinto non solo delle radici cristiane del continente, ma anche delle origini europee del cristianesimo, che proprio in Europa avrebbe assunto per lui la sua forma più alta. In questo modo, arriva di fatto a stabilire quasi una sorta di supremazia del cristianesimo di matrice latina nei confronti di quello orientale.

In che modo la concezione dell’Europa di Benedetto XVI si differenzia da quella del suo predecessore?
Un primo aspetto mi sembra essere l’allentamento del nesso tra l’idea di Europa e quella dell’Europa delle nazioni, che non hanno per lui la centralità che avevano per Wojtyla. Inoltre, mentre il papa polacco concepisce la storia in termini provvidenzialistici, Benedetto XVI affronta il tema dal punto di vista filosofico: come la storia di una civiltà costruita sull’incontro tra fede e ragione. Entrambi ritengono che l’allontanamento delle società dai precetti della Chiesa rappresenti la ragione della loro crisi: identitaria, culturale e geopolitica.

In una celebre conferenza tenuta a Subiaco nel 2005, poche settimane prima della sua elezione, Ratzinger sostiene che la controversia sull’inserimento delle radici cristiane nella Costituzione europea rappresenti l’ultima tappa della contrapposizione tra cultura cristiana e illuminismo. In quell’occasione intervengono a suo sostegno anche i think tanks della destra. Quali sono state dunque le implicazioni politiche del disegno del papa?
In quell’occasione Ratzinger rivendica la necessità che l’Europa riconosca nel cristianesimo la fonte del suo orientamento e la base della propria identità. Nel suggerire agli europei di vivere come se ci fosse Dio, di fatto il papa rinuncia alla prospettiva utopistica di una conversione di massa dei cittadini e delle istituzioni al cristianesimo. In un certo senso, si mostra in questo passaggio più «politico» del suo predecessore e più interessato a ricercare una sponda concreta per interloquire.

E la campagna sui «valori non negoziabili»? Perché viene considerata così importante?
É fondamentale perché permette al papa di specificare quali debbano essere le priorità politiche della Santa Sede. Parlando a un convegno promosso dal Ppe nel 2006, ne elenca tre: la «tutela della vita in tutte le sue fasi» (la lotta alla contraccezione, all’aborto, alla riproduzione assistita e all’eutanasia); la «promozione della famiglia naturale» (la lotta all’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio); «la tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli» (il sostegno alle scuole private cattoliche). Sottolineerei però che a prevalere sono stati soprattutto i principi legati alla biopolitica cattolica.

Con l’insediamento di papa Francesco l’agenda della Chiesa è cambiata. Quali conseguenze si possono registrare nel modo in cui viene impostato il discorso sull’Europa?
Benedetto XVI è stato l’ultimo papa eurocentrico, Bergoglio invece riconosce che il mondo è un sistema interconnesso. Sarebbe sbagliato però sostenere che la Santa Sede ha abbandonato la campagna per le radici cristiane. È in corso un ripensamento. Senza dubbio, sono cambiate le priorità e la battaglia per i principi non negoziabili non è più la stella polare. Trovano invece molto più spazio nei discorsi del papa sull’Europa l’accoglienza dei migranti, la solidarietà sociale e la difesa dell’ambiente.

Nel 2016, in occasione del premio Carlo Magno, papa Francesco ha pronunciato un discorso per certi aspetti di rottura. In che modo è cambiata anche la riflessione sulla categoria di identità?
In quel discorso, per la prima, volta Bergoglio ha rigettato ogni visione esclusivista dell’idea di Europa. Questo significa che per il papa la cultura del continente non ha più un’unica radice. Per Francesco, «l’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale». Anche nei contenuti è stato un intervento radicale: ha attaccato la «cultura dello scarto» e ha messo sotto accusa l’individualismo del mercato. Successivamente però il papa è tornato a proporre una visione più tradizionale. Spetterà al futuro del suo pontificato o al suo successore scegliere quale strada intraprendere.