La mostra, Rinascimento visto da Sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500, da poco inaugurata nella città “capitale delle cultura europea”, vale da sola il viaggio. Da qualunque punto d’Europa si parta. E non solo per la presenza di dipinti mai esposti, di capolavori di maestri sconosciuti al grande pubblico (e a chi scrive), di tele o sculture di artisti sommi, da Antonello da Messina, a Raffaello a Donatello. O per la presenza di rare pergamene raffiguranti la Cosmogonia di Tolomeo, codici miniati preziosi, rari astrolabi e portolani. Dunque non solo per il valore estetico dei singoli “pezzi” e quello documentario dei reperti, che mostrano un rinascimento meridionale largamente ignoto. Ma anche per un’altra ragione che riporta all’oggi.

Grazie anche ai preziosi pannelli didascalici, la mostra ci offre una realtà storica straordinaria: la formazione dell’Europa mediterranea. Il Mediterraneo, tra ‘400 e ‘500, non è più solo il Mare nostrum dei romani: è qualcosa di più, pur restando il grande spazio di rapporti e traffici tra Oriente e Occidente. Adesso la «grande pianura liquida», per usare una espressione di Braudel, mette in contatto mondi e culture in cui non è solo Roma a primeggiare e dominare, ma fa incrociare economie, culture, saperi di una “economia mondo” cosmopolita che configura il futuro spazio dell’Europa.

Si pensi al rapporto con i popoli del Nord. I tedeschi non sono più i rozzi Germani descritti da Tacito. Un grande tedesco, Federico di Svevia, che insedia nell’Italia meridionale il cuore del suo regno, già nel XIII secolo anticipa con la sua persona, il suo culto dell’arte e della poesia, il cosmopolitismo del rinascimento. Per alcuni secoli la cultura araba con cui Federico dialogava, porta nel Mediterraneo e nei paesi dell’Occidente, che sempre più vi si affacciano – la Francia, la Spagna, le Fiandre, l’Olanda oltre alla Germania – la propria filosofia, i saperi dell’idraulica, dell’agronomia, della matematica. Oriente e Occidente, Nord e Sud attraversavano il Mediterraneo non solo con tessuti, grano, animali, piante, ma anche con opere d’arte, libri, tecnologie, realizzando per almeno due secoli, un culmine irripetuto della civilizzazione umana. Qui si fonda la prima vera Europa, con i suoi popoli, culture e lingue “nazionali” formando un nuovo continente.

Com’è noto, la scoperta dell’America e la nuova centralità dell’Atlantico, a partire dal XVII secolo, cambiano la storia dell’Europa. È la più grande svolta della storia dell’Occidente, ma con in implicazioni mondiali normalmente ignorate. Di essa e del suo seguito conosciamo la parte positiva e progressiva, quella che porta alla modernità capitalistica dell’oggi. Ma ignoriamo il lato oscuro e violento che l’accompagna e la rende possibile. La “conquista del nuovo mondo” come recita la storiografia ufficiale, il soggiogamento delle Americhe, avvenne atraverso lo sterminio delle popolazioni indigene. «Il più grande genocidio dell’umanità», lo definisce Tzvetan Todorov. E noi sappiamo che alcuni paesi, come il Messico e il Perù, subirono tracolli demografici da cui si ripresero solo dopo alcuni secoli.

Ma la svolta atlantica ebbe ripercussioni sanguinose e parimenti durature, anche a Sud. L’avvio della tratta degli schiavi dall’Africa alle Americhe, per sostituire i nativi sterminati, trasforma il Mediterraneo cosmopolita a succursale dell’Atlantico, mare di transito del più infame commercio della storia umana: la tratta degli schiavi. I giovani africani strappati ai loro villaggi e venduti come forza lavoro ai mercanti inglesi, spagnoli, francesi, ecc.

Un intero continente viene saccheggiato per oltre tre secoli della sua gioventù e dunque delle sue energie vitali, essendone segnato per sempre.

È da qui che viene il profilo dell’Europa atlantica, perfezionato nel corso dell‘800 e del ‘900 con il colonialismo moderno, che fa della Gran Bretagna il centro imperiale del mondo sino, poi sostituita dagli Usa: in maniera sempre più determinante, dopo la prima guerra mondiale.

È da questa pagina nascosta della storia del mondo che non si può prescindere se si vuole rispondere al quesito che nessuno si pone: per quale ragione la cultura arabo-mussulmana, che aveva al suo interno tutti gli elementi di vitalità e di scienza per evolvere verso una sua modernità, è regredito nel conservatorismo dogmatico e alla fine nel terrorismo suicida? Per quale ragione, se non per la politica di dominio e violenza, soprattutto degli Usa, negli ultimi decenni, una grande civiltà si è trasformata in un aggregato di fanatismi reazionari e retrivi? Il Mediterraneo quale retrovia per i rifornimenti coloniali dell’Occidente ha distrutto l’Europa cosmopolita rinascimentale e imposto al mondo i nazionalismi sanguinari del Novecento.

Oggi a questo mare, sorgente della nostra civiltà, si chiede di nuovo di negare la sua storia di libertà e accoglienza e di farsi barriera e cimitero di popoli messi in fuga dalle guerre atlantiche dei vecchi dominatori, ormai privi di astrolabi e bussole. Una cecità minacciosa. Se i mutamenti climatici cacceranno milioni di africani dalle loro terre, non sarà l’inettitudine tecnocratica dei dirigenti europei a fermarli. L’Europa sarà travolta e nessuno sa quale forma prenderà. Eppure nella sinistra italiana non mancano le culture e le visioni per ridare al Mediterraneo il suo antico compito cosmopolita, rimettendo l’Italia e il Mezzogiorno al centro di una politica di accoglienza e di pace, in grado di riprendere il filo spezzato di una grande storia.

*Candidato alle elezioni europee nella lista La Sinistra