Nel negozio di libri usati che Massimo Cagliaritano aveva aperto a Siena in via di Calzoleria, acquistai per 1.500 lire, la metà del prezzo segnato, un volumetto in brossura di 120 pagine.

Stampato su una carta spessa, rilegato in tenace cartoncino bianco. Si trattava di una copia nuova, con ogni probabilità proveniente dal magazzino dell’editore, da Poggibonsi cioè, a pochi chilometri da Siena, dove aveva sede la piccola casa editrice di Antonio Lalli.

Il libro, stampato nel settembre 1978, serbava un sentore di tipografia.

Al centro della sobria copertina campeggiava un tondo impresso ad inchiostro nero. Potevi pensare a una ruota i cui raggi velocissimamente girassero, ottenendo una diffrazione di linee centripete che si sovrapponevano e si frangiavano, con un effetto ottico di intrico rotante.

Ne risultava autore un grafico assai reputato, Leo Guida, come si leggeva in quarta di copertina ove pure era stampata una breve scheda relativa all’autore: «Andrea Camilleri, cinquantenne, siciliano. Regista di teatro, di radio e di televisione».

E poi: «insegna regìa presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma». Ha pubblicato studi di storia e critica teatrale, e «sue poesie si trovano nelle antologie curate da Ungaretti e Lajolo, da Bettelli e da Fasolo».

Di quel libro, intitolato Il corso delle cose, mi colpì l’esergo. In quei mesi dell’anno accademico 1979-1980 tenevo un seminario di Estetica dedicato a “L’occhio e lo spirito:percezione e visione nell’ultimo Merleau-Ponty”, un autore su cui allora riflettevo assiduamente. E da Senso e non senso di Maurice Merleau-Ponty Camilleri aveva tratto la frase stampata in apertura che fornisce il titolo al racconto: «… il corso delle cose è sinuoso…» .

Non ebbi alcun dubbio, l’incontro era avvenuto. Pagai, salutai l’amico libraio e, giunto a casa mi misi a leggere.

« – Che tramonto bello! – fece il maresciallo Corbo scostando per un attimo il fazzoletto che teneva premuto sul naso. (…) Effettivamente il tramonto era da godersi. Lontano, a ponente, verso il mare distante qualche chilometro, la sagoma frastagliata di Capo Rossello spiccava controluce, scura, sullo specchio calmo, arrossato, mentre da levante cariche nuvole d’acqua arrancavano verso il paese appena visibile ai piedi della collina sulla quale loro si trovavano».

Sospesi la lettura dopo una trentina di pagine per prepararmi qualcosa da cena. A tavola, come fossi seduto al caffè di Masino, con il vecchio cieco Mammarosa e la vedova Tripepe. E poi, di nuovo con loro, subito a continuare la lettura della storia di Vito:«L’insistente bussare alla porta svegliò lentamente Vito, il sonno torpido che l’aveva atterrato poco dopo l’alba ci metteva tempo a sciogliersi».

A mezzanotte ero giunto a «la collina di marna candida a strapiombo sul mare, appena fuori paese. Era chiamata ‘Scala dei turchi’ perché pare che nell’antichità i pirati saraceni vi facessero fermata, in attesa del vento a favore per le loro scorrerie a scappa e fuggi: ancora oggi, ogni tanto, affioravano fra le rughe della marna pezzi di ferro, chiodi e pallettoni mangiati dalla ruggine, resti di vecchie battaglie».

Solo quattro pagine ancora. “(…) – Voglio parlarti da solo e in pace – aveva detto Vito entrando di corsa nel caffè. Senza domandare spiegazioni, Masino aveva fatto cenno al capocameriere di prendere il suo posto dietro la cassa. (…) – Chi se l’intende con Carmela? – Io – disse Masino. (…) Vito cominciò a fare un gesto pericoloso (…) la tasca dove teneva la rivoltella. (…) – Ma come fa a esserne così sicuro? La modalità, la modalità del delitto. – Mi perdoni, avvocato, non… (…) Glielo dissi, mi pare, l’altro giorno. Qua, da noi, si muore solo di corna».

Fine. E, in corsivo, la data: Roma, aprile 1967-dicembre 1968. Chiusi il libro.

Quel leggere filante mi aveva così intensamente e senza sosta avvinto. Entro di me luoghi, volti, frasi, pensieri, ad intrecciarsi come nel gioco dei vetri colorati del caleidoscopio, sospinti dal ritmo della lettura quando afferra e trasporta, avvolge e fascia.

In quell’anno 1980 Camilleri pubblicò da Garzanti Un filo di fumo. Da allora, e nei modi della prima volta, senza mai derogare, non ho smesso di leggere Andrea Camilleri.