Il concetto di cura è sfuggente, ampio, pervasivo. Per questo, è necessario avvicinarlo restringendo il campo e adottando una prospettiva critica specifica. Anche per questo è prezioso leggere Il mio paese adesso sono due (Ets, pp. 156, euro 12), scritto da Liliana Di Ponte e Daniela Simi. Il volume si focalizza sulla realtà di un territorio come Lucca e si pone l’obiettivo di mettere in primo piano le donne per cui quello di cura è un lavoro retribuito svolto all’interno dello spazio domestico, le straniere che chiamiamo correntemente in Italia col nome di badanti.

IMPARIAMO COSÌ, fin dalla prima pagina, che il termine badante nella nostra lingua era attribuito, secondo il vocabolario della Crusca, a coloro che si occupavano degli animali domestici, che un tempo non erano cani e gatti, bensì vitelli e mucche.
La scelta di anteporre le storie delle lavoratrici alle macro-questioni che caratterizzano e derivano dal tema della cura significa prima di tutto volere rimettere al centro della scena le protagoniste, spesso invisibili, di una realtà che abita le nostre case. Le donne, infatti, che provengono da tutto il mondo – come mostra la cartina posta nelle prime pagine del libro – arrivano clandestinamente compiendo viaggi rocamboleschi se non pericolosi, investendo denaro nel tragitto, per diventare il sostegno degli anziani e dei malati italiani.

COME ORMAI RISAPUTO, lasciano nei paesi d’origine i loro figli e i loro genitori, abbandonano spesso delle nazioni tramortite da cambiamenti geopolitici mastodontici, fine dei regimi, situazioni di devastante complessità e il riferimento non va solo alle tante donne che arrivano dai paesi dell’est Europa. La loro migrazione, come viene specificato dalle curatrici del testo, si differenzia da quella degli esodi delle popolazioni dal Medio Oriente e dal Nord Africa perché si basa, come molti dei flussi del Novecento, sull’esistenza di una speranza: investire per trovare alla meta una vita migliore.
«Vita» è esattamente la parola chiave per raccontare questo testo, che è composto da un ordito scritto dalle curatrici, che ha la funzione di introdurre e di legare fra loro i brani tratti dalle interviste orali che le due hanno fatto a una ventina di assistenti personali, di età e nazionalità diverse.

DI PONTE E SIMI specificano, infatti, che il testo non è costruito a partire da una prospettiva sociologica, è bensì frutto di una ricerca basata su un approccio relazionale: hanno cercato le lavoratrici di cura per ascoltarle e loro, dopo una prima naturale resistenza, hanno gioito di quell’attenzione irrinunciabile e hanno risposto.
Importante sottolineare che non ci sono state correzioni sintattiche alla lingua usata dalle intervistate, che è giustamente uno dei temi presi in considerazione, perché aspetto cruciale e terrificante dell’esperienza di emigrazione: parlare e non capirsi.

La trama del libro è invece composta dai racconti, organizzati per tematiche e con l’obiettivo di illustrare ogni aspetto del fenomeno, attraverso le voci delle protagoniste. Si parte dalle ragioni della partenza passando per le modalità del viaggio, l’arrivo in Italia, i rischi e gli approdi alle prime famiglie datrici di lavoro. Le esperienze insieme alle persone anziane e malate vengono raccontate con immediatezza, quelle positive e le altre terribili. Campeggia in questi brani biografici la falce della morte, vera responsabile della conclusione dei contratti di assistenza di queste donne, che spesso non hanno la forza o la voglia di ricominciare a curare un altro estraneo e di chiamarlo «nonno».

EMERGE, a tratti, l’ossimoro potente che caratterizza la relazione di cura, l’incontro corpo a corpo tra una donna straniera e una persona estranea, in una casa da condividere, in cui spesso nasce una confusione più o meno conflittuale su chi ne sia la padrona. Il controllo dello spazio domestico è, infatti, una delle tante questioni che possono rendere questo rapporto di dipendenza, più che di lavoro, complesso, come spiegano gli operatori che si occupano in ambito pubblico e privato della questione, intervistati nell’ultima sezione de Il mio paese adesso sono due che ha il grande merito di dare una voce pubblica a delle donne che svolgono nel nostro privato un ruolo vitale.