La tanto attesa decisione dell’Unione europea sull’etichettatura dei prodotti israeliani provenienti dai territori occupati da Israele nel 1967 è un passo positivo perché fa arrivare alla dirigenza israeliana un messaggio: la comunità internazionale non può e non deve permettere che certi limiti siano oltrepasati.

La reazione israeliana è isterica e demagogica: «È antisemitismo»; «non tengono conto dell’ondata di terrore che ci minaccia». Uno dei deputati più estremisti della destra al governo propone di proibire l’entrata in Israele dei prodotti provenienti da paesi che appoggiano il «boicottaggio».

Quanto a quella che dovrebbe essere l’opposizione di centro o moderata, Yair Lapid, un classico opportunista «di centro» denuncia la decisione come un atto che ricorda il passato, e Itzik Shmuli, un altro opportunista ma nelle file laburiste, parla di una macchia nella storia; ecc.

Gli insulti e le accuse dei nostri governanti e politici non devono far dimenticare che per molti anni l’Europa non ha avuto un ruolo positivo nel conflitto israelo-palestinese e malgrado gli alti lai dell’estremismo israeliano, essa in fondo finanzia tuttora l’esistenza dell’occupazione da parte di Israele. Gli aiuti all’Autorità nazionale palestinese in realtà sono un sussidio all’occupazione, perché il possibile fallimento dell’Anp obbligherebbe Israele a farsi carico dei costi enormi dell’occupazione stessa.

Gli ipocriti parlano di boicottaggio come misura discriminatoria, razzista, con implicazioni storiche e via dicendo. Dimenticano che alcune persone, come l’ex ministro Lieberman, alla fine dell’ultima guerra lanciavano appelli a boicottare i negozi dei palestinesi israeliani; che in precedenza altri avevano chiesto il boicottaggio del turismo in Turchia per il caso della nave Mavi Marmara; e che altri ancora hanno cercato di organizzare gruppi di ebrei all’estero per far pressione sui vari governi che minacciavano misure anti-israeliane. Le reti simil-fasciste, che in Israele abbondano, invitano a non frequentare negozi e ristoranti di proprietà di arabi israeliani, e chiedono di non dar lavoro agli arabi…

Comunque, che cosa significa etichettare i prodotti provenienti dai territori occupati? Certamente il problema è oggi molto complicato dal momento che ad esempio migliaia di palestinesi lavorano in quelle stesse produzioni, ma il punto è molto chiaro: si tratta di beni prodotti da aziende illegali, stabilite nei territori occupati contravvenendo alla Convenzione di Ginevra; si tratta di beni prodotti con tecniche modernissime da coloni israeliani insediatisi su terre di palestinesi. Si tratta di beni che vengono da terre confiscate dalla potenza occupante.

L’Unione europea fa un passo timido ma necessario, per far capire ai dirigenti israeliani che occorre arginare l’indecenza di un’occupazione la quale per ora non conosce limiti, un’occupazione che confisca le terre, inganna, opprime la popolazione palestinese privandola dei diritti più fondamentali.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è convinto di aver avuto un ottimo incontro con il presidente statunitense Barack Obama. Invece di abbandonare la sua guerra irriducibile dopo l’accordo sul nucleare iraniano, stavolta si è presentato agli statunitensi non come l’avvocato di sempre dell’estremismo repubblicano. Obama continuerà ad appoggiare Israele dal punto di vista politico e militare, tuttavia i suoi portavoce adesso dichiarano: «Non appoggeremo il boicottaggio perché crediamo in altri tipi di misure, ma comprendiamo le decisioni europee e anche noi crediamo che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace».

L’attuale situazione in Israele è infernale, gli attacchi si ripetono – anche di bambini di 11, 13, 14 anni – e creano un clima orribile, ma passi come il boicottaggio potrebbero aiutare una società cieca a capire che la politica suicida della coalizione fondamental-nazionalista in Israele può solo peggiorare la situazione.

I politici possono anche abbaiare, ma il prezzo economico della misura decisa a livello europeo potrebbe aprire la strada a un po’ di realismo. Il boicottaggio dei prodotti provenienti dai territori occupati era necessario da molti anni e ci si augura che sia un mezzo in più per dire a una élite autistica che all’aggressività della politica israeliana c’è un limite.