In un libro di qualche anno fa Adriano Prosperi, descrivendo i percorsi storici dell’immagine della Giustizia Bendata, scriveva: «ancora oggi la parola grazia trascina spesso con sé una serie di termini più o meno connessi. Il lessico di questa strana famiglia, nel suo confuso mescolare cose diversissime come l’idea cristiana di misericordia, la tradizione ebraica del giubileo, la fiducia illuministica nella rieducazione del delinquente, basta a indicare perché è così difficile intendersi» (Giustizia bendata, Einaudi, 2008).
Per fare chiarezza, lo studioso attingeva agli strumenti della storiografia e dell’iconografia, mettendo in luce come l’esigenza cristiana di una manifestazione dell’ordine della Grazia abbia performato la rappresentazione e le pratiche della Giustizia terrena. La parola chiave in questo processo di secolarizzazione è «misericordia». Nella medesima prospettiva di storia della Giustizia si spiega anche l’istituzione rituale del giubileo. Siamo tra l’XI e il XIII secolo e dunque nel pieno della contesa tra papato e Impero.
L’obiettivo del pontefice è affermare la superiorità del suo potere attingendo al repertorio dell’immagine cristiana della salvezza dell’anima, considerata prioritaria rispetto alla sorte del corpo. Unica amministratrice del «tesoro delle soddisfazioni», offerto dal Cristo a risarcimento dei peccati degli uomini, la Chiesa utilizza questa funzione per surclassare la giustizia terrena, che pure, a sua volta, rivendica una legittimazione divina.

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Bonifacio VIII indice l’Anno Santo, Giotto (particolare)

Contro l’inflazione
Il primo giubileo convocato da Bonifacio VIII nel 1300 si inserisce quindi in un percorso, scandito dall’invenzione del Purgatorio, della stabilizzazione della «penitenza auricolare» e dalla ritualizzazione penitenziale dell’anno liturgico, che punta a fare della Roma papale il centro amministrativo della Giustizia di Dio. Si inserisce in tale contesto anche l’uniformazione tariffaria delle pene, del «prezzo» ascetico della penitenza o dei criteri della sua commutazione in offerte. Come spiega Alberto Melloni (Il giubileo. Una storia, Laterza), «è questo sistema di equivalenze a generare la prassi e la teoria dell’’indulgenza’». Al confronto – di nuovo Prosperi – «l’offerta del potere temporale di cancellare saltuariamente qualche delitto non poteva che sbiadire».
Tra i primi problemi che si pongono agli organizzatori dell’«anno santo» c’è quello di non inflazionare una prassi, quella dell’indulgenza plenaria, fino ad allora legata essenzialmente alla mobilitazione per le crociate. Anche per questo la parola «giubileo» non viene utilizzata nella bolla d’indizione di papa Caetani e la calendarizzazione del rito viene regolata con cura. Clemente VI fissa la regola dei 50 anni. Il fabbisogno di consenso e le necessità economiche spingono i successori ad accorciare i tempi a 33 e poi a 25 anni. Non bisogna dimenticare, del resto, che lo strumento giubilare è anche straordinariamente redditizio per il papato in virtù delle entrare connesse alle indulgenze. Nel 1500 papa Borgia ne fa un evento spettacolare con l’apertura della «porta santa» in San Pietro e l’organizzazione di spettacoli «santi» a Piazza Navona e al Colosseo.

Pena e colpa
Contro la vendita porta a porta delle indulgenze si scaglia il monaco agostiniano Lutero. La risposta cattolica alla Riforma prevede il disciplinamento della pratica e una distinzione netta tra la pena (che si cancella con l’indulgenza) e la colpa (che solo Dio può perdonare con la sua misericordia). Questo impianto «tridentino» non verrà più modificato nella sostanza. A cambiare saranno invece forme e obiettivi, ancora una volta in relazione all’evolversi del confronto/scontro con il potere temporale.
Dopo le difficoltà del XIX secolo, lo strumento giubilare torna in auge con Leone XIII nel 1900. Contro la deriva secolarizzante della società contemporanea le associazioni del movimento cattolico si mobilitano per celebrare la devozione al papa. Il meccanismo si raffina cinquant’anni dopo con il giubileo di Pio XII, svoltosi nel segno della repressione della teologia «progressista» d’oltralpe e della campagna dell’Azione cattolica contro il comunismo. Nonostante il successivo tentativo di Paolo VI di conciliare il giubileo con la nuova sensibilità post-conciliare, al tempo della televisione questo strumento della monarchia papale conserva dunque una missione auto-celebrativa.

È ancora fresca la memoria dei papa-boys a Tor Vergata nel 2000, espressione della spettacolarizzazione del culto papale ai tempi della politica carismatica. C’è da credere che con Francesco i toni saranno più sobri, soprattutto in virtù del suo distacco dai movimenti identitari. In quanto all’indicazione della «misericordia» come cifra del giubileo «straordinario», alcuni interpreti sottolineano come la coincidenza con la chiusura del Vaticano II si inscriva in una visione nuova del rapporto tra colpa e condanna, binomio al quale papa Francesco sembra preferire una dinamica incentrata sul perdono. Si tratterebbe insomma di una rivisitazione radicale dello strumento giubilare. Di certo, la scelta di ricorrere al giubileo rientra nella predilezione di Bergoglio per la pietà popolare e, in questo senso, sembra davvero in sintonia con il suo predecessore polacco. A ciò si aggiunga che l’amministrazione della Giustizia religiosa nel nome della misericordia ha alla spalle (anche) una storia di confronto e di conflitto sul piano del potere. La storia ci insegna che strumenti e parole d’ordine non sono mai neutri.