Dove porterà il braccio di ferro del governo con la Commissione europea? Prima di rispondere a questa domanda è necessario capire se c’è coerenza tra gli obiettivi di crescita fissati nella Nota al Def e le misure previste nel disegno di legge di bilancio (secondo l’Istat sarebbe necessaria un’accelerazione già nel quarto trimestre di quest’anno, con almeno un +0,4%).

Seguiamo il ragionamento del governo. L’Italia è il paese che cresce di meno in Europa, che con più fatica riesce a recuperare il terreno perduto in questi anni. Lo dicono tutte le stime sulla crescita del Pil per l’anno in corso e per i prossimi anni. Stante questo quadro, un’altra manovra restrittiva, che guarda solo ai conti pubblici e non all’economia reale, sarebbe esiziale per il Paese. «Un suicidio», per dirla con il ministro dell’economia. Non ne trarrebbero giovamento né l’economia né gli stessi conti pubblici.

Ineccepibile. Ma il problema è se le scelte dell’esecutivo, considerando anche la loro efficacia temporale, possano avere realmente, per l’anno di riferimento, un effetto di stimolo all’economia.

TOLTI I CONDONI e gli abbuoni sulle cartelle di Equitalia, potranno il nuovo regime forfettario per le partite Iva (ma anche le agevolazioni per le società di capitali) e il «reddito di cittadinanza» generare maggiore Pil, fino all’obiettivo prefissato dell’1,5% (contro lo 0,9% tendenziale)?

Nel primo caso, parliamo di un’opzione già presente nell’ordinamento (dal 2015), per la quale sono stati rivisti soltanto i limiti reddituali (fino a 65 mila euro). Il suo impatto sull’economia in questi anni è stato inesistente, al pari dell’imposta piatta sui redditi delle società (Ires), che ora dovrebbe scendere dal 24 al 15% se si reinveste una parte degli utili e si fanno nuove assunzioni (anche precarie), ma al prezzo di uno stop al cosiddetto «super ammortamento» (maggiorazione del costo dei beni strumentali ai fini della deducibilità fiscale).

Più complessa la partita del cosiddetto «reddito di cittadinanza». Nel disegno di legge di bilancio lo stanziamento per questa misura è di 9 miliardi di euro. Se tale importo viene depurato della quota che dovrebbe andare ai centri per l’impiego (un miliardo) e dell’importo già stanziato nel vigente «Fondo Povertà» per il Reddito di Inclusione (2,2 miliardi), di «ciccia» (espressione del ministro Di Maio) per il nuovo «sussidio di povertà» e per le «pensioni di cittadinanza» ne rimane ben poca (anche i soldi della Naspi finiranno nel «Fondo per il reddito di cittadinanza»?).

Pochissima per soddisfare una platea di 5 milioni di poveri assoluti. E comunque, per ora, parliamo soltanto di poste nel bilancio, perché nella manovra la disciplina di questo sussidio non c’è. Tutto rimandato ad un provvedimento ad hoc. Sarà varato entro Natale, come ha dichiarato il vicepremier pentastellato? Vedremo.

PER ORA, l’unica certezza è che anche qualora i tempi indicati dai grillini (non dalla Lega) venissero rispettati, i pochi italiani che beneficeranno della misura non potranno andare al negozio prima della prossima primavera. Oppure no. Forse un’altra certezza c’è: 5-6 mesi di (questo) «reddito di cittadinanza» non potranno tradursi automaticamente in mezzo punto di Pil, la differenza tra quello che prevedono tutti gli organismi indipendenti, internazionali e nazionali, e le stime che ha azzardato il governo (vanno considerati anche gli effetti recessivi dei tagli alla spesa).

Non sappiamo come si concluderà il braccio di ferro tra l’esecutivo e la Commissione. Il tempo per presentare una nuova manovra è scaduto e il governo sembra intenzionato, per ora, a tirare dritto. Sarà aperta una procedura di infrazione sul debito? Probabile, forse inevitabile. C’è il rischio che i mercati reagiscano male? Non è detto: paradossalmente, proprio «l’ingerenza» di Bruxelles potrebbe tenerli a freno, ma gli spazi di manovra per il futuro si assottiglierebbero ulteriormente.

RIMANE UN PUNTO: con questa manovra il governo ha avuto riguardo più alla proprie bandierine elettorali (compresa quella della sfida ai «burocrati europei») che alla crescita dell’economia ed alla giustizia sociale. Diversamente, avrebbe puntato tutto su un ampio e qualificato programma di investimenti (per il 2019 il «Fondo per gli investimenti delle amministrazioni centrali» potrà contare soltanto su 2,9 miliardi di euro), per rilanciare, insieme all’economia, l’occupazione. Intanto, come ha stimato Bankitalia, lo spread ha bruciato, da maggio ad oggi, più di un miliardo e mezzo di risorse pubbliche. Per una manovra inutile, il 2,4% di deficit, forse, non sarà nemmeno sufficiente.