L’uscita del Regno unito dall’Unione europea e è stata, come sappiamo, faticosa e tormentata ed ha già prodotto un ripensamento tra una parte significativa degli elettori che quattro anni fa, esattamente il 23 giugno 2016, avevano votato per uscire dall’Unione. Sul decisivo piano economico la Brexit comporterà una serie di problemi che sono stati anche dall’attuale governo conservatore, ampiamente sottovalutati.

Innanzitutto le esportazioni verso la Ue, che ancora al 2018 rappresentavano il 48 per cento del totale, subiranno un netto rallentamento. Diverse imprese multinazionali hanno già spostato, o si accingono a farlo, la loro base europea da Londra a Francoforte, Amsterdam, Parigi, ecc. Le decine di migliaia di giovani europei che mensilmente affluivano in Gran Bretagna, per motivi di studio o di lavoro, si ridurranno così come i flussi turistici dalla Ue verso l’Uk subiranno un netto taglio. Il motivo è semplice: ci vorrà il passaporto e il visto dal prossimo anno. E soprattutto l’immagine di un paese respingente produrrà questo effetto, al di là degli ostacoli formali.

Sul piano politico-istituzionale la situazione diventerà esplosiva. Il Regno Unito rischia di frantumarsi e vedere crescere e esplodere al suo interno le spinte secessioniste, trasformandosi in Regno Disunito. Sicuramente la Scozia, dove alle ultime elezioni politiche il partito indipendentista ha fatto il pieno di voti, che chiede già un secondo referendum per uscire dal Regno unito. Certamente, il leader Johnson non glielo concederà, ma dovrà affrontare una tensione crescente e non facilmente contenibile. La Scozia, oltre alle famose esportazione del whisky in tutto il mondo, possiede una risorsa importante e strategica: il petrolio del mare del Nord. Difficilmente il governo di Londra ci potrà rinunciare e allo stesso tempo non sa come contenere l’ondata secessionista che la Brexit ha scatenato. Anche l’Irlanda del Nord è stata messa da Londra in un bel pasticcio con la creazione di una frontiera, ormai abolita da anni, con la Repubblica irlandese.

Insomma, il governo conservatore che ha voluto fortemente la Brexit (e i laburisti che hanno detto “sì, ma anche no”), si troverà già da questa estate ad affrontare una situazione che l’anno prossimo, quando la Brexit diventerà pienamente operativa, potrebbe scoppiargli tra le mani. Potrebbe sperare che Trump venga rieletto e conceda condizioni privilegiate all’export della Gran Bretagna per compensare la riduzione verso i paesi europei. Ma, non sarà un’operazione semplice perché l’integrazione economica con la Ue aveva richiesto decenni, mentre con gli Usa andare significativamente oltre gli attuali flussi di import/export richiederebbe altre specializzazioni produttive che lo Uk non ha. Rimane il settore finanziario dove la piazza di Londra produce qualcosa come il 15 per cento del reddito nazionale. Ma, basterà lo scoppio di un’altra bolla finanziaria come nel 2008 per determinarne una crisi verticale.

Insomma, la Brexit si dimostrerà non essere una buona idea, e questo rappresenterà un fatto che metterà con le spalle al muro i partiti neo-nazionalisti e razzisti presenti nella Ue. Come l’uscita dall’Euro non è più popolare come lo era due anni fa ( e non a caso il leader della Lega non ne parla più!) , così il restare nella Ue, anzi il rafforzare l’Unione diventerà una scelta non più rinviabile. È una speranza? Certo, ma ha basi materiali forti su cui basarla.