Nella tradizione del cinema di impegno civile Daniele Vicari fa rivivere la figura di Pippo Fava nel film Prima che la notte che andrà in onda su Raiuno domani in prima serata, in occasione della giornata della legalità. È un film che mette al centro del racconto la libertà di stampa, e la libertà di pensiero di un personaggio che non si lascia influenzare dal conformismo che lo circonda. Così il racconto non porta dritto verso l’omicidio di mafia. Infatti quello che successe il 5 gennaio del 1984, la morte di Pippo Fava con cinque colpi di pistola, mandante il clan Santapaola, non è che un incipit, quasi un terribile dettaglio rispetto alla vitalità che ancora esprime la sua storia.

Non ci è affatto sconosciuta l’aria di libertà che si respira nelle due successive redazioni, il «Giornale del Sud» e poi la rivista «I Siciliani», due redazioni in prima linea nella Catania degli anni Ottanta, città che si propagandava come estranea al fenomeno della mafia «quasi che il fiume Simeto per una sorta di sortilegio la tenesse lontana».
La prova del sospetto con cui viene accolto il nuovo progetto editoriale è che nessuno dei giornalisti navigati della città è disposto a impegnarsi, anche a dispetto di una lunga amicizia («fammi campare in pace») così la redazione del Giornale del Sud si riempie di giovani, «i carusi» (raccontati qualche anno fa anche dal docufilm di Franza Di Rosa I ragazzi di Pippo Fava).

Una nuova generazione di giornalisti si forma così nell’indagine sul campo e sulla lotta all’intimidazione, che non è fatta solo di bombe carta, di corrieri che si rifiutano di distribuire la stampa, ma soprattutto di editori padroni che possono licenziare direttori e ridurre al silenzio le redazioni.
Succede anche al «Giornale del Sud», e una volta chiuso nascerà la cooperativa per varare il nuovo ambizioso progetto de «I Siciliani», l’audace storica rivista che aveva come obiettivo raccontare «la vita», i sogni, i deliri, le ribellioni, il cinema, il teatro, la fotografia. E in ogni numero offrire un dossier sul Potere. Qualcuno, dice Fava, avrà paura de «I Siciliani», ma sarà un oggetto prezioso.

Fabrizio Gifuni con la sua rocambolesca capacità di suggerire dialetti impersona il personaggio di Pippo Fava con vigore e piglio deciso, così come Dario Aita rende l’aspetto riflessivo del figlio Claudio. Diventato direttore di giornale, ma anche scrittore e drammaturgo (e lo vediamo anche dipingere) aveva vinto un Orso d’oro al festival di Berlino 1980 per Palermo or Wolfsburg, firmato da Werner Schroeter tratto da un suo libro, Passione di Michele, storia di un emigrante che cerca lavoro in Germania. Ancora prima, nel 1978 il suo Gente di rispetto era stato portato sullo schermo da Luigi Zampa.

Un momento cruciale del film è quando Pippo Fava detta un ultimo editoriale del quotidiano: «Io ho un concetto etico del giornalismo, ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana il giornalismo rappresenti una delle forze essenziali della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità…»
Tanti sono gli spunti che suggeriscono il clima della città e che fanno risaltare ancora di più le grandi manovre dei padroni della Sicilia, i quattro cavalieri come titolava« I Siciliani», che hanno in mano tutto il potere.

Dopo il 4 settembre dell’82, l’assassinio del generale Dalla Chiesa, interviene alla trasmissione di Enzo Biagi dove esprime un concetto chiave che assumerà proporzioni definitive solo in seguito: chi uccide è solo un esecutore, «i mafiosi stanno in parlamento, a volte sono ministri, sono banchieri, sono ai vertici della nazione, un problema che rischia di portare la nazione al declino definitivo».