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Il pressing di Berlusconi stavolta non fa breccia

Il pressing di Berlusconi stavolta non fa brecciaL'aula del senato

Forza Italia Contro l'accelerazione verso l'aula, 24 firme di senatori azzurri

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 8 luglio 2014

Ci sono 24 firme azzurre (ma potrebbero diventare 27) in calce al foglio che la senatrice di Forza Italia Bonfrisco tirerà fuori stamattina se verrà confermato il calendario che prevede l’arrivo in aula della riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione a spron battuto. Domani stesso, senza neppure dare ai senatori il tempo di leggere il testo partorito dalla commissione Affari costituzionali per raccapezzarsi e proporre gli emendamenti del caso. La lettera non avanza richieste deflagranti: solo quella di rinviare alla settimana prossima l’approdo in aula della riforma. Ma nel clima di parossismo assurdo creato dal governo, anche una proposta così ovvia e quasi di ordinaria amministrazione diventa deflagrante.

Se quel foglio arriverà nelle mani del presidente Pietro Grasso, le firme raccolte dai forzisti Minzolini e Bonfrisco non saranno le sole. Le accompagneranno quelle dei 24 senatori del Gruppo Misto-Sel, quelle dei 18 o 19 (salvo retromarce) dissidenti del Pd, quelle di due o tre e forse più colleghi dell’Ncd e di un paio di Popolari. Sulla carta si tratterà solo di agenda e tempistica. In realtà il segnale sarebbe ben più minaccioso per la strana coppia del Nazareno. La richiesta di rinviare alla settimana prossima l’esame dell’aula, infatti, vorrà dire che le pressioni estreme tentate dai due leader in “profonda sintonia” non sono servite a niente, e che anzi la resistenza in un fronte spinge anche i dissidenti di quello opposto a tenere duro.

Arrivato al momento decisivo, Renzi è passato alle maniere forti. Aveva affermato con tutta la solennità del caso che in commissione il voto in dissenso era proibito, non però in aula. Ma la parola di Renzi vale quel che vale. In queste ore l’asse tra palazzo Chigi e i portaordini del Senato, il presidente del gruppo Zanda e quella della commissione Finocchiaro, sta vagliando l’ipotesi di forzare la mano, chiedere un voto al gruppo dei senatori e poi, su quella base, minacciare senza più mezzi termini chi non si adegua di tempestiva messa alla porta.

Berlusconi, non certo per la prima volta, è meno dittatoriale. Ha chiesto i nomi di tutti i possibili dissidenti ed è deciso a contattarli uno per uno, per spiegare, convincere, ma se del caso ordinare in nome dell’interesse superiore del partito. L’agenda azzurra resta circondata dalla nebbia. I senatori dovrebbero rivedersi oggi, ma non è detto che lo facciano davvero e tanto meno è chiaro se alle assise parteciperebbe il gran capo, ipotesi comunque molto improbabile.

Finora, salvo i numerosi casi di scissione, la suasion del capo ha sempre funzionato. Ma stavolta i giorni passano e le cose non sembrano andare per il verso abituale. Perché la posta in gioco sono le elezioni nel marzo prossimo, oppure in aprile, accorpate alle regionali, e per i senatori azzurri trattasi di incubo assoluto. La data, secondo voci tutt’altro che confermate ma non irrealistiche, uscite ieri anche su qualche giornale, sarebbe stata addirittura formalmente concordata. Ma anche se così non fosse lo scioglimento delle camere una volta approvate riforma del senato e nuova legge elettorale è nell’ordine delle cose.

Se la carota di Silvio e il bastone di Matteo non piegheranno i rispettivi ammutinati, la minaccia è palese: la mancanza di quella maggioranza qualificata dei due terzi che renderebbe inevitabile il referendum, vero obiettivo dei dissidenti trasversali. Perché il referendum rallenterebbe la corsa al voto. Ma soprattutto perché il referendum, con un Senato di nominati e di immuni, per Matteo Renzi sarebbe un vero salto nel buio.

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