I 27 capi di stato e di governo, riuniti con la presenza di Christine Lagarde (Bce), Ursula von der Leyen (Commissione), Josep Borrell (Mr.Pesc) e Charles Michel (Consiglio) per un vertice in videoconferenza – il terzo in meno di tre settimane – chiedono alla Commissione una «strategia di uscita» dopo la crisi del Covid 19, che sta gettando la Ue nel marasma economico, oltreché sanitario.

Al centro una «roadmap di rilancio e di investimenti» e un «piano di azione» senza precedenti, dopo le prime settimane di «mancanza di solidarietà» tra paesi Ue, come ha criticato von der Leyen. Inoltre, sul tavolo ieri c’era l’idea del presidente Charles Michel di creare un centro europeo di gestione delle crisi, la condivisione delle informazioni scientifiche e la collaborazione per la ricerca di un vaccino. Ma, sul fondo, c’è la questione degli Eurobonds, ribattezzati Coronabonds per l’occasione, che sarebbero il vero bazooka in mano agli europei. Per il momento, la prudenza è d’obbligo. Anche se molte dighe sono crollate in queste settimane di drammatica crisi: è stato sospeso il Patto di stabilità, la Germania ha messo da parte l’obbligo costituzionale dell’equilibrio di bilancio a favore di un piano di rilancio gigantesco, la Commissione ha sbloccato 37 miliardi di Fondi strutturali, la Bce è arrivata a mettere sul tavolo 1.050 miliardi entro fine 2020 per possibili acquisti di titoli finanziari. Si parla di utilizzare le linee di credito del Mes, con condizionalità “leggere” (senza memorandum, per il momento). Nove paesi, non solo le solite “cicale”, hanno chiesto i Coronabonds (oltre a Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Grecia, ci sono anche Lussemburgo, Irlanda, Belgio e Slovenia). La Francia fa pressing sulla Germania, che resta molto reticente, ma Parigi pensa che se Berlino cederà allora l’Olanda, l’altro paese in prima linea del grande rifiuto, seguirà.

Il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, difende l’idea di una «rifondazione della costruzione europea». Ma la Germania e l’Olanda sperano ancora di poter tornare alla normalità appena possibile. Berlino e L’Aja affermano: «Noi abbiamo abbastanza fiato», cioè abbiamo i conti a posto e possiamo permetterci un rilancio. L’idea degli Eurobonds era già stata avanzata nel 2012 e allora Angela Merkel aveva detto: «Mai finché vivrò». Il ministro delle Finanze, Peter Altmeier, ha parlato di «dibattito fantasma» e ancora ripetuto in questi giorni: «Raccomando prudenza quando vengono presentati concetti apparentemente nuovi che sono solo riciclaggio di idee respinte da tempo». Di fronte all’esplosione del Covid-19, i paesi Ue hanno reagito in ordine sparso, le tentazioni isolazioniste si sono moltiplicate, le frontiere interne della zona Schengen sono state chiuse (peggio che nel 2015, con la crisi dei migranti, quando 6 paesi su 26 avevano chiuso). Secondo la Francia, anche la flessibilità sulle regole lascia aperta un’interpretazione «sovranista», perché con meno regole si favoriscono le reazioni ognuno per sé.

Di fronte alle tentazioni isolazioniste, gli Eurobonds sarebbero una svolta epocale, un salto federalista. Come i Treasury Bonds lo furono per gli Stati uniti, dopo la rivoluzione americana e la Costituzione del 1787: l’idea di Alexander Hamilton, fondatore del partito federalista, permise ai 13 stati di salvare la prima repubblica moderna dalla bancarotta, con una solidarietà verso gli stati più indebitati del sud. La Federazione nacque sulle ceneri della Confederazione del 1781, dove ogni stato aveva conservato la propria sovranità e rifiutava di piegarsi ai vincoli della solidarietà. I cambiamenti sono veloci in questi giorni nella Ue. Solo due settimane fa, la Commissione ha celebrato i suoi primi 100 giorni e von der Leyen ha parlato di Green New Deal, senza soffermarsi sul Covid 19. Solo il 10 marzo, c’è stata la prima videoconferenza sul virus.