Da 24 ore i social network hanno ripreso a funzionare in Kazakhstan e questo significa che le autorità considerano chiusa la rivolta costata la vita a più di 160 persone nella sola Almaty. «L’obiettivo era ovvio», ha detto il presidente, Kassym-Jomart Tokayev, nell’ultimo messaggio alla nazione: «Insidiare l’ordine costituzionale, distruggere le istituzioni e arrivare al potere».

INSOMMA, NELLE STRADE di Almaty si è assistito la scorsa settimana a «un tentato golpe», per usare le parole di Tokayev. Sulla regia dei disordini Tokayev non si è espresso in modo esplicito, ma gli arresti compiuti fra i vertici dei servizi segreti, a cominciare da quello dell’alto papavero Karim Massimov, portano al clan dell’ex presidente, Nursultan Nazarbayev: la sua epoca, cominciata nel 1991 con l’indipendenza del Kazakhstan dall’Urss, appare oggi conclusa. Sino a poche settimane fa il Kazakistan era considerato un modello fra le ex repubbliche sovietiche. Stabilità politica e pace sociale costruite sul milione e settecentomila barili di petrolio prodotti ogni giorni nei giacimenti sulle coste del Mar Caspio da una vasta coalizione di compagnie straniere: russi, americani, francesi e italiani. Anche il passaggio di potere, pacifico, nel 2019, fra Nazarbayev e Tokayev aveva suscitato notevole interesse a Mosca. La rivolta ha mostrato quanto fragile fosse l’autocrazia «progressista» che reggeva il paese, e quanto fragile rimanga il sistema che il presidente in carica è riuscito a portare sotto il suo controllo a costo di rischi enormi.

PER RIPORTARE L’ORDINE Tokayev ha prima rovesciato i vertici di governo e servizi segreti, e ha poi chiesto il sostegno militare a Mosca attraverso l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, o Csto. In Kazakhstan il Cremlino ha inviato tremila uomini per di difendere gli interessi strategici russi, vedi il complesso aerospaziale di Baykonur, mentre la guardia nazionale kazaca combatteva per riconquistare Almaty. «Le misure dimostrato chiaramente che non permetteremo a nessuno di sovvertire l’ordine nei paesi della nostra organizzazione», ha dettoVladimir Putin, nel vertice dei leader del Csto: «Non permetteremo che si realizzi alcune rivoluzione colorata».

È chiaro a tutti, in particolare agli Stati Uniti, che l’intervento russo potrebbe spingere Tokayev a rivedere già nelle prossime settimane l’approccio multivettore che ha guidato per tre decenni la politica estera kazaca. Così si spiegano i commenti non proprio diplomatici arrivati da Washington alla vigilia dei colloqui con la Russia. «C’è una lezione nella storia recente: una volta che i russi sono a casa tua, è molto difficile convincerli ad andarsene”, ha detto il segretario di stato americano, Antony Blinken, sulla crisi.
Quella cominciata come una protesta pacifica contro il rincaro dei carburanti nella cittadina petrolifera di Zhanaozen e divenuta, poi, rivolta violenta ad Almaty, ha finito per alimentare lo scontro dialettico sulla scena internazionale. Il ministro degli Esteri russo, Segei Lavrov, ha avuto uno scambio telefonico con il collega cinese, Wang Yi, nel corso del quale sono state denunciate «interferenze di forze esterne» e la presenza di mercenari stranieri «per organizzare attacchi contro pacifici cittadini e forze dell’ordine». Era stato proprio Tokayev, la scorsa settimana, a parlare di «terroristi» provenienti anche dall’Afghanistan, una tesi ribadita ieri al telefono con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Bisogna ricordare che le regioni meridionali del Kazakhstan sono stati un grosso serbatoio di manodopera per lo stato islamico. In Siria hanno combattuto alcune migliaia di guerriglieri kazachi, che il governo del paese sta riportando in patria al ritmo di 500-600 ogni anno.
I FATTI DI ALMATY hanno seguito in effetti una strana parabola. Gruppi bene organizzati di manifestanti hanno preso le armi prima ancora che i soldati scendessero in strada. Sono riusciti a prendere strade, piazze, palazzi del governo e persino l’aeroporto della città. Oltre all’ipotesi dei combattenti stranieri, si è parlato anche degli interessi di organizzazioni criminali che avrebbero legami con ampi settori degli apparati dello Stato. Questo, però, non significa che il dissenso contro Tokayev non esista. «In Kazakhstan non esiste più un solo partito legalmente operativo, non c’è nessuno che rappresenti un’opinione alternativa », ha detto al quotidiano russo Kommersant il sociologo Dosym Satpayev: Tokayev si troverebbe, quindi, in una trappola che lui stesso e Nazarbayev avrebbero costruito per anni, cancellando ogni iniziativa democratica.