Sarà piaciuta ai maestri dello spettacolo di massa e del musical cinematografico sovietico? Chissà.

La cerimonia d’apertura dei giochi di Sochi seguiva lo stile tecno-circense tipico di queste occasioni. Grandi effetti di luce, un enorme videoproiezione sul pavimento dello stadio, il pasticcio trash della musica da cerimonia, in mondovisione. Una bambina vestita di bianco – questa la sceneggiatura di massima – si addormenta e vola nel sogno, trascinata prima da un aquilone poi da un palloncino dentro i «grandi momenti» della storia russa. Prima, anzi, li recita nell’ordine dell’alfabeto. Ci trova un posticino per il gaio Cajkovsij e per il regista comunista Eisenstein, mimetizzati tra astronauti e inventori assortiti.

Dopo l’entrata degli atleti, la bimba volerà davvero tra le navi di Pietro il Grande, poi dentro una scena da Guerra e Pace nello spirito del balletto del Bolshoi, quindi nello spazio costruttivista della Rivoluzione. Luci rosse e grandi torri di metallo, come nella scenografia di Servizio Pubblico, (ma il riferimento è colto solo dal pubblico italiano). Infine, un delizioso numero da musical vintage d’era sovietica, con un enorme vigile vestito di bianco (è un campione di pugilato alto due metri, vero) che dirige l’allegro traffico di ragazzi e ragazze a bordo di vecchie Volga e sidecar. Dopo l’apertura dei giochi declamata come da tradizione dal presidente Putin, ben imbronciato perché il cattivo della favola è lui, tornerà implacabile il gaio Cajkowski, su una balletto di meduse elettroniche, coreografie di Daniel Ezralow. E pure Strawinski, per ballerini luminosi sospesi a mezz’aria nel buio.

Mancavano le Pussy Riot e il loro punk spaccatutto (solo l’icona del loro passamontagna è stata avvistata sul fondo di uno snoboarder americano), questo è vero. Però la sfida del presidente macho contro le gaiezze di un qualsiasi grande spettacolo cerimoniale è stata davvero impari. E perduta. Già vedere un coro di soli uomini in posa marziale cantare il vecchio inno russo instillava i primi dispettosi dubbi negli spettatori avvertiti. E già prima dello spettacolo, non in diretta ma visibilissimi su youtube, i mitici coristi della polizia russa cantavano una versione di Get lucky dei Daft Punk.

Le Tatu, glorie internazionali della canzonetta di laggiù, che per copione fingono da sempre di essere fidanzate, le hanno invitate soltanto all’ultimo momento. Una loro canzone accompagnava l’entrata nello stadio della squadra russa. Momento solenne, quanto caciarone. Ma non basta. Per supremo autogol le due ragazze hanno twittato poche ora prima della cerimonia che le hanno «trattate di merda». Testuale.

Indubbiamente la sfilata degli atleti qualche momento buono l’ha regalato. Grande eccitazione per le divise multicolori dei tedeschi, decisamente eccessive, tedesche d’altri tempi, ma il popolo di twitter planetario ci vede un chiaro richiamo alla bandiera arcobaleno e va bene così. Si annuncia intanto la presenza del ministro della salute norvegese, in compagnia di suo marito. Che non vengono inquadrati. L’ex tennista e attivista lesbica Billie Jean King mandata da Obama nella delegazione ufficiale Usa non è potuta venire. Arrivano le mascotte: tre pupazzoni di peluche che hanno le fattezze di un orso, di un leopardo e di un coniglietto. Piuttosto effeminati.

Spuntano qua e là altre storie fuori sceneggiatura, quelle piccole e buffe che fanno la gioia dei commentatori di questo genere di dirette tv. La squadra delle Bermuda per esempio sfila in bermuda rossi. La squadra di bob giamaicana, già protagonista di un film di Walt Disney, c’è. Uno slittinista di Tonga – si apprende – ha accettato l’ingegnosa sponsorizzazione occulta di una marca tedesca di biancheria intima, e per questo ha cambiato il suo nome con il nome della marca: Bruno Banani.

Tre ore di cerimonia. Accensione del fuoco olimpico, fuochi d’artificio. Fine.
Sul piano politico nostro, performance rimarchevole del presidente Letta, che ha annunciato la sua solitaria presenza con una lettera di rara democristianità sportiva al Corriere della Sera e s’è giocato tre secondi di inquadratura inguainato nella giacca a vento ufficiale firmata Armani. Salutava convinto e scendeva le scale in fretta, come per avvicinarsi ai nostri ragazzi che del resto manco lo vedono. Giovanile. Renzi che avrebbe fatto al posto suo?