Torna a infiammarsi la polemica sul caso di Alexey Skripal, l’ex agente dei servizi russi avvelenato assieme alla figlia da un gas nervino denominato «Noviciok» a Salisbury lo scorso 4 marzo.

L’altro ieri il presidente della Repubblica Ceca Milos Zeman in una intervista al canale televisivo Barrandov ha rivelato che il suo paese ha prodotto e stoccato «Noviciok», anche recentemente. «L’Istituto di Ricerca del Ministero della Difesa nel novembre 2017 a Brno ha testato il gas nervino A-230 (della famiglia di “Noviciok”), in quantità trascurabile», ha affermato Zeman.

Secondo il presidente ceco, «il veleno è stato da noi prodotto al fine di studiare e contrastare da parte della nostra intelligence tali armi, ma in seguito è stato completamente distrutto». Viene così confermata l’affermazione del ministero degli esteri russo di un mese fa che aveva incluso la Repubblica Ceca (assieme a Usa e Gran Bretagna) tra i paesi in grado di produrre l’arma letale.

Evidente l’imbarazzo di Downing Street: il governo di Sua Maestà si è rifiutato di fare dichiarazioni sulle affermazioni Zeman. Reazioni che invece arrivate da Mosca, ormai passata permanentemente all’offensiva massmediatica. Ma se il Cremlino si limita a commentare il silenzio britannico come «un ulteriore prova della loro gestione avventuristica e provocatoria» della tragedia, la portavoce del ministero degli esteri, Marya Zacharova, ha convocato ieri una conferenza stampa straordinaria per aggiornare la stampa internazionale sull’evoluzione del caso.

Zacharova è tornata a sottolineare come non solo Theresa May e Boris Johnson avessero sostenuto di avere prove certe sulla provenienza russa del veleno, poi dimostratesi «inesistenti» per gli stessi esperti di Port Down, ma di aver continuato a negare, contro ogni evidenza, che il loro paese lo potesse produrre. Soprattutto la plenipotenziaria russa ha voluto mettere in risalto «la costante violazione britannica dell’etica, della morale e del diritto internazionale» fino al punto di far pensare agli osservatori indipendenti che l’intera vicenda sia stata fabbricata a Londra.

A tal fine il governo britannico starebbe deliberatamente bloccando la diffusione di notizie sui media del paese che «potrebbe rivelare il coinvolgimento delle autorità britanniche alla provocazione anti-russa». Per Zacharova «non si tratta solo di una brutale censura di Stato nel Regno Unito… ma della conferma del coinvolgimento delle autorità britanniche nelle provocazioni anti-russe».

In particolare, Zacharova ha osservato che «il governo britannico ha imposto un divieto di menzionare nei media in relazione al caso Skripal, l’agente privato d’intelligence Pablo Miller», a suo tempo reclutatore di Skripal al MI6, il servizio segreto britannico. Zacharova fa riferimento alle indiscrezioni comparse su alcuni organi di stampa londinesi secondo cui Miller e il suo socio Christopher Steele alla «Orbis Business Intelligence», avrebbero chiesto a Alexey Skripal di collaborare alla creazione del famoso «dirty dossier» sui legami russi di Donald Trump.

Una pista che se trovasse conferme porterebbe le indagini sui possibili esecutori e mandanti dell’attentato, più verso Washington che non verso Mosca.