Al primo piano di Villa Pignatelli di Napoli, fino al 2 febbraio, ci si può immergere nell’universo di Sir William Hamilton, ambasciatore inglese alla corte di Ferdinando IV di Borbone, alla fine del Settecento. A guidarci nel viaggio, è l’artista statunitense Mark Dion, che ha realizzato uno dei suoi wunderkabinetts per raccontare l’intreccio tra l’inviato di sua maestà britannica e la città, che sussultava tra pestilenze, eruzioni e rivoluzioni.

The Pursuit of Sir William Hamilton, parte del Progetto XXI del museo Madre affidato alla Fondazione Morra Greco, è articolato in sezioni (collezionismo, scienze naturali, vulcanologia, caccia, la nave HMS Colossus, Lady Hamilton) dove i lavori di Dion si confondono tra le opere originali dell’epoca.

«Ho letto un libro su questo personaggio – ha spiegato Dion. Mi hanno affascinato la sua storia e il suo rapporto con Napoli. Una figura che ha letteralmente invaso la mia vita. È stato fondamentale comprendere il suo potere politico e il suo rapporto con il re. Quella di Hamilton era una personalità complessa, rude e gentile allo stesso tempo».

Data la sua passione per le antichità greco-romane – da pochissimi anni erano venuti alla luce i reperti di Pompei ed Ercolano – di geologia e vulcanologia, di battute di caccia, il palazzo di sir Hamilton a Chiaia, a due passi da Villa Pignatelli, era ricco di reperti raccolti nelle sue spedizioni di studio. Molto del materiale collezionato finirà sul fondo dell’oceano: la nave che li riportava in patria, HMS Colossus, affondò con il suo prezioso carico. Ugualmente interessante lady Hamilton: molto più giovane del marito, era una donna bellissima e intraprendente, la regina Maria Carolina era affascinata dai suoi tableau vivant, non le resisteva neppure l’ammiraglio Nelson che, con flotta della marina inglese, proteggeva i Borbone dalle armate rivoluzionarie francesi.

Così, tra i fucili da caccia decorati in oro del Muso di Capodimonte o la gouache di Jacob Philipp Hackert Il giardino inglese di Caserta, la Carta del Littorale di Napoli e dei luoghi antichi più rimarchevoli di Rizzi Zannoni conservata al Museo di San Martino o le ceramiche Manifattura della Real Fabbrica Ferdinandea si aggirano le creazioni di Mark Dion: cinquant’anni di storia in settanta opere. Un mobile in legno intarsiato a parete (Bay of Naples Researches), fatto realizzare a Sorrento, apre le sue ante per svelare 64 disegni, acquerello su carta, firmati da ogni singolo realizzatore, catalogazione della fauna marina del litorale, richiamo alla Stazione zoologica Anton Dohrn proprio di fronte Villa Pignatelli. Un’intera parete è invece abitata da The Cicerons: dodici statuette in terracotta, paglia, tessuti e materiali plastici, sul modello dei personaggi del presepe da collezione conservati nelle campane di vetro, che rappresentano gli spiriti guida nell’esplorazione dello spirito dell’epoca (Walter Benjamin, Joseph Beuys, Jacques-Yves Cousteau, Charles Darwin, Gustave Flaubert, Michel Foucault, Claude Lévi-Strauss e altri).

L’eruzione del Vesuvio del 1766 è resa attraverso Vesuvius Peep Show: dal buco in una cassa di legno si sbircia il diorama di Hamilton che, a sua volta, osserva dalla nave la lava esplodere. L’ambasciatore catalogava ogni fenomeno che studiava e Dion fa lo stesso, in un gioco di composizione e scomposizione continuo: ogni installazione rimanda ai disegni incorniciati che sezionano i singoli elementi delle scene rappresentate.

Così, ad esempio, The nature of the Hunt ha come corrispettivo i singoli animali cacciati. Sezionata e ricomposta anche Salvage – HMS Colossus, che racconta della nave colata a picco con tanto di incrostazioni marine sui resti del relitto accanto a vasi della collezione del Museo archeologico. Stesso trattamento per Lady Hamilton’s Attitudes: riproduzione di un set immaginario per gli spettacoli di lady Hamilton dove si insinuano oggetti di scena come un pugnale o un’ascia. «Il mio lavoro – ha spiegato Dion -, che prova a incontrare un osservatore non abituato all’arte a metà strada, ha una voce che è complessa e non letterale o semplice. La scienza è molto brava a dirci come funzionano le cose e cosa sono gli oggetti, ma l’arte può mettere quei fatti in un contesto, che è sociale, storico, e anche personale».