Secondo David Harvey, il neoliberismo è un progetto politico, economico ed ecologico condiviso dalla classe dei finanzieri e degli industriali, e sostenuto dalle dirigenze dei principali partiti politici ed organizzazioni internazionali, per andare all’attacco del potere che il lavoro ha costruito tra gli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso. Il neoliberismo è l’espressione di una reazione organizzata contro la forza acquisita dalla classe operaia e, in termini più generali, dal lavoro vivo.

IN ITALIA, questa forza aveva trovato espressione e sintesi nello Statuto dei lavoratori, approvato con la Legge 300 del 20 Maggio 1970, che, insieme ad altre conquiste maturate nel decennio successivo, aveva sancito l’esistenza di un potere operaio, e di altre aree popolari, non solo nei luoghi di produzione, ma nell’intera società italiana.
Il libro Lavorare, è una parola. Un alfabeto corale a cinquant’anni dallo Statuto dei lavoratori (pp. 286, euro 15), edito da Donzelli, propone un’analisi a partire dal riconoscimento, nell’Introduzione, dell’attacco portato a quel potere, tanto è vero che i giornalisti Altero Frigerio e Roberta Lisi, curatori del volume, si chiedono: «perché il lavoro e i lavoratori valgono ancora così poco, pesano e spostano sempre meno?». Il loro è un interrogativo politico oltre che legato al senso della produzione e del vivere collettivo, che, non a caso, richiama la centralità perduta del nesso lavoro-libertà-democrazia.

QUESTO LEGAME viene indagato attraverso un vocabolario-alfabeto del lavoro trasformato, lungo una storia che ha visto sparire, o fortemente ritirarsi, tanti tipi di lavori e altri ne ha visti nascere e molti altri ancora cambiare profondamente, nella quale un dato è, tuttavia, rimasto costante: lo sfruttamento del lavoro proprio del modo di produzione capitalistico. E, con esso, e il suo approfondimento, l’ampliamento delle disuguaglianze sociali ed economiche. Tanto è vero che si ravvisa un’evidenza storica, quella che vede collegato l’incremento delle disparità sociali con la riduzione della forza contrattuale del lavoro: agire per ridurre le prime richiede, quindi, una riappropriazione di potenza da parte del lavoro.
Le autrici e gli autori dei testi che compongono il libro sono docenti, sindacalisti, ricercatori, lavoratori, politici che hanno approfondito una molteplicità di aspetti specifici, con approcci culturali, biografici e teorici differenziati. È questo un pregio del testo, quello di avere messo insieme una pluralità di voci, non necessariamente convergenti tra loro, sebbene tutte criticamente orientate.

IL TESTO È DENSO, ricostruisce una storia del lavoro contemporaneo sotto diverse luci, ma non si arresta a guardare il passato: pensa al presente, al tempo dell’epidemia da corona virus, e si rivolge al futuro, sapendo, come scrive Enrico Letta nella Prefazione, che «la crisi che stiamo vivendo avrà un impatto enorme sul mondo del lavoro. E soprattutto sarà una crisi che aumenterà le disuguaglianze».
D’altronde, questo processo si è visto quasi immediatamente dall’inizio della diffusione delle misure di contenimento e, nel caso italiano, si è manifestato nella maniera più chiara nella discussione sulla regolarizzazione delle persone immigrate senza permesso di soggiorno. Nei loro riguardi è stato escluso un provvedimento di regolarizzazione generalizzata, almeno fino a ora, ed è stata approvata una norma selettiva di emersione dal lavoro in nero, sperando di avere a disposizione solo «quelli che servono», secondo le parole del 21 aprile scorso della Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese in audizione presso la Commissione Affari costituzionali della Camera.

IL LAVORO, dunque, si conferma subordinato alle esigenze delle imprese, ai bisogni dei profitti e ai ritmi dei dividendi. E la sua centralità produttiva, così, apparentemente, scompare. È questa storia che il libro ricostruisce, ponendo, al tempo stesso, una serie di domande verso il futuro, ma anche alla politica e all’azione sindacale.
Quest’ultima viene richiamata esplicitamente nell’intervista che chiude il volume a Emanuele Macaluso, il quale riporta, ancora una volta, il sindacato alla necessità di «porsi il problema di individuare come e in quale misura si articolano i nuovi lavori e quali possibilità ha di individuarli e di intervenire su ciascuno di essi».

È UNA SFIDA già in atto, in realtà, per ogni forma di organizzazione e autorganizzazione del lavoro, che la crisi in corso semplicemente, e conflittualmente, accelera. Sapendo, alla fine della lettura, che una domanda, per molti aspetti ormai classica, si pone oggi ancora più di ieri: nelle condizioni tecnologiche e sociali date, è possibile pensare a una liberazione del lavoro che non si colleghi con la liberazione dal lavoro, riconoscendo la centralità del lavoro di riproduzione e, quindi, della necessità di pensare a un reddito di cura, come promosso di recente dalla campagna internazionale Care Income Now?