«Non possiamo permetterci di procedere con avventatezza e improvvisazione. So che molti sono rimasti delusi ma non possiamo fare di più. Dal 4 maggio circoleranno 4,5 milioni di lavoratori. È già un rischio calcolato». Dalla trasferta lombarda Conte respinge seccamente le critiche che non partono solo dall’opposizione ma anche dall’interno della sua maggioranza, con un Renzi che denuncia le violazioni della Costituzione da parte del governo e con un Pd in cui i malumori sono molto più diffusi ed estremi di quanto non appaia.

IL PREMIER PERÒ HA un argomento risolutivo da far pesare. Quel documento del Comitato tecnico-scientifico, probabilmente fatto circolare proprio da palazzo Chigi, con previsioni da film horror in caso di riapertura totale subito: 151mila ricoveri in terapia intensiva per l’8 giugno a fronte di 10mila posti disponibili, 430mila ricoveri in intensiva entro fine anno. Di fronte a un rischio simile, Conte non poteva comportarsi diversamente, anche a costo di scontare la rabbia di chi si aspettava ben altro allentamento.

Qualcosa comunque cambierà. Le messe, con protocollo in via di definizione ma che di sicuro escluderà comunione ed eucarestia, potranno riprendere già dall’11 maggio. La confusione sugli incontro con gli «affetti stabili» dovrà essere precisata prima di essere inserita nell’ennesimo modello di certificazione. Nel complesso è il modello «a rubinetto», come lo definisce il premier: un’apertura prudente, tale da permettere nuove chiusure, immediate e circoscritte, a fronte di nuovi focolai. Per evitare il vero incubo: un secondo lockdown che sarebbe per l’Italia il colpo fatale.

IN REALTÀ NON SONO LE BIZZE di chi vorrebbe riaprire tutto e subito il problema nel disegno della Fase 2 abbozzato dal premier. È l’assenza, per ora, delle condizioni minime indicate dal ministero della Salute: la disponibilità di tamponi, covid hospital, possibilità di analisi sierologiche a tappeto. Le stesse mascherine sono ancora un ostacolo non sormontato: il prezzo calmierato, dopo aver provocato una mezza rivolta dei farmacisti, manda in fibrillazione ora anche le aziende che dovrebbero produrre le mascherine. È su questo fronte che si giocherà la sfida per impedire che i nuovi focolari, se non certi molto probabili, si trasformino in un altro incendio.

IL NODO DELLE RIAPERTURE e della quarantena è il più avvertito dall’opinione pubblica. Non l’unico: il fronte del sostegno a imprese e cittadini è altrettanto delicato e forse persino più critico. Il decreto Aprile, salvo accelerazioni finali improbabili ma non impossibili, non si farà in aprile. O meglio se ne farà, forse, una parte, giusto per evitare lo smacco simbolico di un dl che si chiama aprile e arriva in maggio. I nodi irrisolti però potrebbero essere inseriti in futuri dl tra cui uno, a cui il Pd tiene particolarmente, incaricato di snellire le pratiche burocratiche. In altri termini un decreto per far funzionare i decreti.

È evidente che qualcosa non ha funzionato nei dl precedenti, in particolare nel dl Liquidità. Lo ammette neppure troppo fra le righe lo stesso Conte, da Lodi, quando chiede alle banche «un atto d’amore per le imprese e i cittadini: una risposta ancora più incisiva e tempestiva». Risposta che, sull’erogazione di liquidità, il governo «sta monitorando». Ma se il premier si sente in dovere di rivolgere un simile appello è evidente che il monitoraggio non è soddisfacente e i rubinetti delle banche non erogano liquidità come dovrebbero. Né basterà il dl in gestazione, con i suoi 55 miliardi: «Verranno risposte ma non risolveranno tutto».

IL PROBLEMA DEI PROBLEMI sono gli accertamenti delle banche che devono concedere i prestiti garantiti solo al 90% dallo Stato. Come ha chiarito Bankitalia servono fondi erogati direttamente alle aziende. Nel dl Aprile ci saranno: 8 miliardi a fondo perduto e per le piccole e piccolissime imprese. Ne beneficeranno 1,6 milioni di imprese. Milioni di altre aziende saranno tagliate fuori. Per i negozi, e in particolare bar e ristoranti, il quadro è ancora più cupo. La riapertura il primo giugno rende decine di migliaia di esercizi destinati a non riaprire più. Il sostegno dovrebbe passare almeno per la presa in carico delle spese fisse, in particolare degli affitti, da parte dello Stato. Ma nel decreto, per ora, il sostegno agli affitti di ogni tipo ammonta a 2 miliardi. Pochi. Pochissimi.