Nella prima finanziaria a debito dalla notte dei tempi la sola vera incognita era l’operazione Tfr. Il problema non sono le coperture ma il rischio di mandare a gambe all’aria il pericolante edificio delle piccole e medie imprese. Renzi ha deciso di lanciarsi lo stesso. Salvo improbabili sorprese l’inserimento del Tfr in busta paga su base volontaria sarà nella legge di stabilità, sia pure per un periodo sperimentale di tre anni. Per accedere, bisognerà avere almeno sei mesi di anzianità. Con i dubbi dell’Europa e con la definizione precisa dell’accordo con le banche i conti si faranno più tardi. In fondo di qui al voto sulla legge ci sono due mesi di tempo…

È un azzardo quello di Matteo Renzi, e non è l’unico. Ieri il premier ha ripetuto a martello il motivetto che ci accompagnerà per mesi: «Ho tolto 18 miliardi di tasse». Accompagnato dalla postilla: «Ora le aziende non hanno più alibi e dovranno assumere». Solo che, avendo a che fare con un capitalismo sempre pavido come quello italiano e oltretutto in fase di immensa difficoltà, non è affatto detto che le cose vadano davvero così, e ancor meno che ci vadano in tempi brevi. Per non parlare dell’incognita rappresentata dal verdetto europeo.

Nei palazzi della politica una manovra così spericolata se la spiegano esplicitando un dubbio che per molti è quasi una certezza: Renzi vuole votare nella primavera prossima. La manovra è fatta apposta per accumulare consensi a breve. Non c’è nulla di strutturale e progettuale, nessun investimento a lunga scadenza come dovrebbe essere se davvero Renzi volesse arrivare al 2018. In compenso c’è tutto quello che i politici abitualmente fanno quando sentono odore di elezioni imminenti: taglio delle tasse e, grazie all’operazione Tfr, più soldi in busta paga. E’ davvero così? Difficile dirlo. Le elezioni sono sempre un’incognita e Matteo Renzi si è ritrovato, quasi per caso, in una posizione talmente forte che difficilmente potrà ripetersi, neppure dopo una vittoria elettorale. Di certo solo un mese fa le elezioni nel 2015 non erano il suo obiettivo, e in realtà non è detto che lo siano neppure adesso.

Tuttavia di motivi che potrebbero spingere il ragazzone fiorentino a forzare la mano ce ne sono. Prima o poi la coppia del Nazareno dovrà fare i conti con la legge elettorale, e lì la partita è difficilissima. Bersani, la settimana scorsa, ha detto quasi a chiare lettere che il senso di responsabilità della minoranza Pd si arresterebbe sul confine della legge elettorale, perché quando c’è di mezzo la democrazia tutto il resto passa in secondo piano. In quella mano l’Ncd si giocherà la pelle, e si sa che di fronte alla tomba la lealtà spesso viene meno. In più entrambi i partitoni devono vedersela con forti minoranze interne, e se quella targata Pd appare domata e impotente la stessa cosa proprio non si può dire a proposito di Raffaele Fitto e dei dissidenti azzurri. Va da sé che di quei pattuglioni in parlamento rientrerebbero, forse, pochissime unità. Inoltre alcuni campanelli d’allarme non sono sfuggiti all’inquilino di palazzo Chigi. Quando un voto determinante come quello del Senato sul Def passa solo grazie all’appoggio di un dissidente dimissionario come Tocci e di un ex grillino come Orellana è segno che con queste camere la brutta sorpresa può sempre essere acquattata dietro il prossimo angolo. 

16desk sotto sinistra colombo giorgio-napolitano

Le elezioni col Consultellum imporrebbero è vero un governo di fatto Renzi-Berlusconi, ma dopo due anni di larghe intese e Nazareno l’opinione pubblica dovrebbe essere mitridatizzata. Tecnicamente ci sono però due ostacoli: il primo è che bisognerebbe eleggere anche il Senato, con tutto i rischi che ciò comporta. Lo si potrebbe aggirare con qualche emendamento in stile azzeccagarbugli, ma sarebbe una partita molto meno facile di quanto gli strateghi di Renzi amino far credere. Il secondo e principale è il presidente della Repubblica. Probabilmente Renzi ancora non ha deciso se votare presto o no, ma di certo vuole lasciarsi aperta quella strada. Per questo lui e Berlusconi hanno bisogno come dell’ossigeno di piazzare sul Colle, dopo l’imminente addio di Napolitano, un loro pupazzo. Lo snodo del futuro politico italiano potrebbe essere proprio quell’elezione.