Conte non cede di un passo, Renzi neppure. La conferenza stampa del premier e il contestuale intervento di Renzi al Senato, nella dichiarazione di voto a favore sulla legge di bilancio, non hanno deviato di un centimetro la traiettoria di due leader che corrono verso lo scontro frontale. Dopo l’incontro con il ministro Gualtieri sul Recovery Plan la delegazione di Iv è caustica: «Non ci siamo. Ci separa un abisso. Non saremo complici degli sprechi e di un Piano senza ambizioni per il futuro del Paese». Forse non è ancora l’ultima parola ma ci va molto vicino.

MA LO SCONTRO, avverte e annuncia Conte, sarà «in parlamento e con la partecipazione di tutto il Paese». Non sono parole spese a caso. Indicano la strategia che l’inquilino di palazzo Chigi vuole seguire nel duello con Renzi: quella già sperimentata con Salvini. Uno showdown pubblico, rivendicando i meriti del governo che minaccia ora di crollare senza motivo, o per motivi di puro e meschino egoismo. Con stentorea denuncia della follia di una crisi in piena pandemia, con una vaccinazione di massa alle porte, quando ci si dovrebbe concentrare solo sul come risollevare l’Italia usando bene e celermente i fondi del Next Generation Eu. Una crisi contro il Paese, contro l’Italia. Su questa base il premier conta di affidarsi al pallottoliere incontrollabile di palazzo Madama, alla ricerca di una maggioranza anche senza Renzi, pescata qua e là: impresa incerta, non impossibile.

È ANCORA UN GIOCO di bluff e controbluff? L’obiettivo di Conte è costringere Renzi alla ritirata prima che la situazione precipiti in aula? Forse, ma solo in parte. Ieri a palazzo Madama il leader di Iv ha tenuto i decibel più bassi del solito. Ha evitato il solito attacco frontale. Ma nel merito non si è spostato di un passo: «Ci accusano di irresponsabilità perché mettiamo in discussione la stabilità. Ma c’è una differenza epocale tra stabilità e immobilismo. Come in bicicletta l’equilibrio si tiene se ci si muove, l’immobilismo fa terminare la legislatura». È difficile pensare che il capo di Iv possa interpretare come «movimento» il no mai così fermo sul Mes, il rifiuto aperto e rumoroso di cedere la delega sui servizi, lo spiraglio aperto a bocca storta e solo per dovere d’ufficio sulla modifica degli equilibri di governo, la melina sul Recovery Plan, a proposito del quale Conte ha fatto in modo di non dire ieri assolutamente niente. Al suo posto hanno parlato i fatti, perché ieri circolava una nuova bozza di Piano buttata giù ancora prima che, nel pomeriggio, la delegazione di Iv incontrasse, come LeU e il gruppo delle Autonomie, Gualtieri per presentargli il proprio «contropiano». Uno schiaffo in piena regola, di quelli sonori.

PUÒ ESSERE CHE CONTE un po’ speri in un almeno parziale ripensamento del rivale ma senza crederci troppo. L’eventualità dello scontro aperto in parlamento non viene agitata solo come spauracchio. Palazzo Chigi è deciso a seguirla. Ci vorrà tempo però, una decina di giorni, forse persino qualcosa in più, e sino a quel momento le cose possono cambiare. Le variabili principali sono due: il capo dello Stato e il Pd. Nel suo discorso di stasera Mattarella sarà prudentissimo, si limiterà a indicazioni indirette, con cautela ben maggiore di quella che di solito adottano gli inquilini del Quirinale a fronte di una minaccia di crisi incombente. Un po’ è lo stile dell’uomo. Molto è la scelta di non scoprire le carte per giocarle, se sarà necessario, solo al momento opportuno. Di certo il presidente non apprezza neanche un po’ la turbolenza delle ultime settimane e ha fatto molto per blindare il governo Conte. Ma che sia poi disposto ad accettare una eventuale maggioranza raccogliticcia ed effimera non è affatto detto.

AL PD, NATURALMENTE, la linea adottata da Conte piace ben poco. Se si arriverà alla sfida aperta, che preferirebbe evitare, il Pd voterà certo la fiducia. Però non si limiterà ad attaccare Renzi: probabilmente non risparmierà Conte e il ruolo che ha giocato nella vicenda. Nello stato maggiore, con la sensibile eccezione della delegazione al governo che sta davvero con il premier, si colgono umori ben diversi da quelli strillati in pubblico. Alle elezioni in caso di crisi non ci crede nessuno, e in effetti è un’opzione quanto meno improbabile. C’è chi fa notare che, una volta scelta la via del corpo a corpo, il premier rischia di mettere in gioco la sua stessa permanenza a palazzo Chigi, che con un Conte ter sarebbe garantita: «Senza elezioni alla fine un altro premier si trova».