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Il premier prova a blindare Poletti

Il premier prova a blindare PolettiFoto Sintesi Visiva

Democrack Mezzo spiraglio sul lavoro: «Ma non è un tema a piacere». Il rischio di soccorso forzista

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 29 marzo 2014

Renzi così veloce che non ha tempo per incontrare gli esodati che lo aspettano all’entrata del Nazareno. Della loro presenza e dei loro appelli lo avverte Gianni Cuperlo durante la direzione. Il segretario-premier ha la lingua così veloce che quando attacca a parlare sta per svelare in diretta streaming la campagna per le europee, bruciandone l’effetto sorpresa. Sta per recitarne il claim quando Francesco Nicodemo, responsabile della comunicazione Pd, riesce a stopparlo. La campagna torna top secret. Ma dirà: «Ce lo chiede Francesca», e poi altri nomi, al posto di «ce lo chiede l’Europa», cavallo di battaglia renziano. Non ci sarà il suo nome sul simbolo, ma per le politiche, dice, «sono sempre favorevole», ed è quasi una promessa.

Nella prima direzione dopo quella defenestrazione di Enrico Letta Renzi va «rapidissimo, per tweet», non ha paura di ammettere che qualche misura del suo governo «ha una componente demagogica», ce l’ha con la vendita su ebay delle auto blu. Dopo la «bollinatura» di Obama, Renzi è ormai un irresistibile «torrente impetuoso», come si era descritto domenica scorsa sul Messaggero, che corre verso le europee e le amministrative di maggio (4mila comuni e tre regioni) e nei prossimi 50 giorni vuole raccontare al paese di aver mantenuto le promesse, «ne va della nostra credibilità davanti ai cittadini». E pazienza se poi i provvedimenti, come già successo per l’Italicum, dovranno essere modificati alla prossima curva. Purché dopo le europee.

Così come solo dopo le europee il Pd discuterà di cosa diventare, ora che il partito sembra «la bad company del governo» (copyright Matteo Orfini) e che quattro della segreteria sono diventati ministri. Ieri il segretario ha nominato due suoi vice: Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. Se le minoranze interne accetteranno di entrare in segreteria «siamo qua», se no pazienza. Nella direzione, sul prudente e attento Guerini nessuno obietta. Su Serracchiani la sinistra solleva dubbi per il fatto che è presidente del Friuli «e deve rappresentare tutti i cittadini», dice Stefano Fassina. Renzi va veloce e neanche replica. Né rallenta sul decreto Poletti.

In direzione fioccano no con argomenti pesanti. Fassina affonda sulla filosofia (più correttamente, ideologia) del provvedimento: «L’idea che più si precarizza e più aumenta l’occupazione non è vera. Oggi gli imprenditori non assumono perché non sanno a chi vendere. Se non aumenta la domanda trasformeremo il restante 30% di contratti a tempo indeterminato in contratti a tempo. Noi», e qui l’accusa è seria «siamo stati eletti su un’idea opposta», agire sul mercato del lavoro «è una proposta della destra e di Sacconi.

Siamo disponibili a una mediazione politica, non all’umiliazione intellettuale». Andrea Ranieri, coté Civati, punta il dito sull’azzeramento della formazione, «per l’Ocse le imprese italiane sono quelle che ne fanno meno, attenti che non si apra un contenzioso con l’Europa». Francesco Verducci, portavoce dei giovani turchi, contesta il decreto in nome del renzismo: «Non va corretto ma riscritto riacquistando la filosofia del jobs act, aggiungendo il contratto di inserimento a tutele progressive, reso meno costoso». Una misura oggetto di una legge delega, che se anticipata nel decreto finirebbe – meritoriamente – per attenuare l’impatto dei contratti a tempo reiterabili fino a 8 volte.

Renzi concede poco, quasi niente, perché, spiega perdere tempo è «perdere credibilità». L’esordio è eloquente: «Leggo toni da ultimatum che capisco poco. Vorrei essere chiaro: i contratti a termine e l’apprendistato sono due punti intoccabili della nostra proposta. Non sono due temi a piacere». Alla fine della direzione la maggioranza asfalta le critiche: il documento che contiene tutto – riforme, lavoro, vicesegretari – viene approvato con 93 sì, 8 astenuti (minoranza ex area Cuperlo) e 12 no, civatiani. «La relazione era invotabile. Non si poteva votare qualcosa che metteva insieme di tutto. E non si può tenere sempre un partito sul filo con degli ultimatum», lamenta Pippo Civati.

Ma la strada per il decreto non è liscia, e forse non basterà qualche ritocco alla reiterabilità dei contratti a tempo (magari 4 volte anziché 8) per assicurare il voto della sinistra Pd, ben più consistente in parlamento. Mercoledì i deputati si confronteranno con il ministro, che però ha già chiarito: il suo testo non può essere «stravolto». Renzi lo ha blindato con quel «intoccabile». L’ex Cavaliere già offre il suo abbraccio: «Forza Italia voterà il decreto così com’è, perché è di fatto il decreto Berlusconi sul lavoro. Che farà un Pd già in frantumi?», twitta Brunetta. Renzi va veloce, con ogni probabilità verso un nuovo voto di fiducia, di quelli che si era impegnato evitare come la peste.

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