In uno spot è bene guardare a quello che manca. E nella e-news di ieri – il ciclostilato elettronico che Matteo Renzi alterna a tweet e post su facebook – il presidente del Consiglio garantisce di non aver dimenticato la riforma costituzionale, anzi promette che sarà fatta «presto e bene», ma dimentica per strada la principale delle innovazioni promesse: il senato non elettivo. Lasciando così semi aperta la porta per un clamoroso ripensamento, nella direzione richiesta dalla minoranza del Pd che al senato è in grado, volendo, di condizionare il passaggio della riforma.

«La svolta più grande è naturalmente la riforma costituzionale – scrive Renzi nella e-news -, cambia il Titolo V, cioè il rapporto tra stato e regioni con competenze finalmente più chiare. Cambia il senato che non dà più la fiducia, non replica più lo stesso iter delle leggi e viene composto da rappresentanti dei territori, come accade in molti altri paesi. Anche in questo caso: meno politici, più politica». Il «senato composto da rappresentanti dei territori» non è necessariamente lo stesso senato che è previsto dalla riforma così com’è oggi, dopo due letture conformi di senato e camera. Nella versione che aspetta di essere esaminata da palazzo Madama, i senatori sono eletti tra i consiglieri e i sindaci dai consigli regionali. L’alternativa, che la minoranza Pd caldeggia e che è compatibile con la formula utilizzata ieri da Renzi (che non parla più di senato non elettivo) è quella di senatori eletti insieme ai consiglieri regionali, in un listino apposito o magari scelti tra i più votati. La novità potrebbe essere affidata alla legge bicamerale attuativa della riforma, con il risultato però di far slittare di parecchio l’entrata in funzione del primo «nuovo» senato.

Costretto a strappare sulla scuola, rallentato sul disegno di legge Rai, Renzi – che ha fatto della revisione costituzionale un affare di governo – sulla riforma del bicameralismo è in ritardo rispetto alla sua tabella di marcia. Aveva immaginato un via libera del senato entro luglio, ormai fuori portata. Può immaginare allora di allungare il calendario dei lavori del parlamento e strappare un sì ad agosto. Ma se alla fine dovrà accettare di cambiare qualcosa, dovrà mettere in conto un ulteriore passaggio del disegno di legge alla camera. Dopo di che ci sarà da attendere la pausa di riflessione di tre mesi prevista dall’articolo 138 della Costituzione. Gli ultimi voti e il referendum confermativo, che – scrive ancora Renzi «lascerà l’ultima parola ai cittadini nel 2016».
Nella seconda parte del 2016, visto che la legge del 1970 che regola il referendum confermativo prevede un tempo tecnico tra i sei e i sette mesi dall’approvazione della riforma in parlamento. Che a questo punto potrebbe arrivare non prima di gennaio-febbraio del prossimo anno.