Il premier del fragile governo della Cirenaica, Abdullah al-Thinni, ha minacciato di dimettersi. L’ex ministro della Difesa ha annunciato di intendere rimettere il suo mandato nelle mani del parlamento in un’intervista televisiva. Poche ore dopo l’annuncio il portavoce del governo di Tobruk, Hatem Orabi, ha smentito l’intenzione di al-Thinni di lasciare l’incarico. Se al-Thinni dovesse confermare le sue intenzioni, il parlamento di Tobruk potrebbe respingere le dimissioni, ha aggiunto il politico.

Si tratta del secondo annuncio di dimissioni in pochi mesi per il premier di Tobruk. Già lo scorso aprile, al-Thinni aveva espresso l’intenzione di lasciare perché privo di poteri sostanziali, incapace di rispondere alle proteste della popolazione locale sull’assenza di sicurezza che blocca il mercato petrolifero libico. In Cirenaica lo scontro tra l’ex pilota dell’Aeronautica al-Thinni e l’auto-proclamatosi capo delle Forze armate Haftar dilania le fragili istituzioni di Tobruk, frutto del tentato golpe del 2014, appoggiato dal Cairo.

La guida di Haftar della piccola parte dell’esercito che lo sostiene è contestata anche da una parte del parlamento che teme l’estensione dei poteri dell’ex agente Cia, alleato con i miliziani di Zintan. Lo scorso aprile, dopo le dimissioni, il parlamento conferì nuovamente l’incarico ad al-Thinni di formare un governo e le sue intemperanze si trasformarono solo in un rimpasto. Ma anche a Tripoli le cose non vanno meglio. Dopo le dimissioni del premier Omar al-Hassi, anche tra gli islamisti della Fratellanza, alleati delle milizie di Misurata, e appoggiati dal Qatar, lo scontro politico è durissimo.

E si gioca sul sostegno da accordare o meno alla mediazione dell’inviato Onu, Bernardino León. Lo scorso luglio il piano, raggiunto in Marocco, per la formazione di un governo di unità nazionale era stato firmato da Tobruk ma rispedito al mittente da Tripoli. Il Congresso nazionale generale ha criticato in particolare la conferma del ruolo di Haftar a capo delle Forze armate e la permanenza del parlamento in Cirenaica almeno fino alle prossime elezioni. A Ginevra è in corso un nuovo round negoziale con la mediazione Onu. I negoziati sono partiti in ritardo per permettere anche ai rappresentanti di Tripoli di aggiungersi al tavolo. Lo scontro si infiamma poi sulla gestione dei flussi migratori. Se Haftar si è accreditato come l’unico interlocutore per contenere l’aumento dei flussi che hanno accresciuto il numero di gommoni che partono dalle coste libiche e le morti nel Mediterraneo, Tripoli ha puntato sull’arresto dei migranti prima che attraversino il mare verso l’Europa.

Entrambe le strategie non hanno prodotto altro che un cambiamento delle rotte di contrabbandieri e scafisti che ora preferiscono partire dalle coste egiziane. Altro punto rilevante, mentre lo Stato islamico continua a controllare la città di Derna e non si placa la piaga dei sequestri di persona, è l’eredità di Gheddafi.

Dopo la condanna a morte, inflitta in contumacia al figlio dell’ex presidente, Seif al-Islam, Human Rights Watch ha denunciato le pessime condizioni detentive a cui è sottoposto il fratello di Seif, Saadi Gheddafi.

Un video, girato nella prigione di al-Habda, conferma le torture imposte ad alcuni detenuti. Con il collasso delle istituzioni centrali, della giustizia penale e civile in seguito agli attacchi della Nato dell’autunno 2011, le attività dei magistrati sono state sospese per mesi. Mentre i due parlamenti, estensione della miriade di milizie che controllano il paese, sembrano usare i residuali poteri legislativi per prendere provvedimenti vendicativi secondo logiche di mera sopravvivenza politica.