Il primo gesto che dice di un premier che dribbla le mine e cerca il rilancio è nominare due ministri all’apertura della conferenza stampa di fine anno. Il ministero dell’Istruzione raddoppia, annuncia a sorpresa, alla scuola va la 5 stelle Lucia Azzolina e alla Ricerca scientifica il rettore Gaetano Manfredi. Un potenziale grosso guaio per l’esecutivo, le dimissioni del ministro Fioramonti, consiglia una sostituzione lampo nel tentativo di silenziarne le polemiche (e le ragioni, gli scarsi investimenti i nel settore). Ma dirlo alla platea dei giornalisti, anziché a un social, è anche – lo sottolinea il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna – un segno di cortesia verso il tradizionale confronto con i cronisti. Conte quest’anno è quasi record: ferma l’agenda per tre ore e accetta ben 37 domande. In realtà, con acquisita sapienza democristianeggiante, risponde nel merito a molte meno. Ma è affabile e cortese, prima e dopo l’evento si intrattiene con i rappresentanti dell’Ordine e della stampa parlamentare, promette un tavolo sui problemi dell’Inpgi, l’istituto di previdenza di categoria. L’anno scorso, quando la scure del suo precedente governo si abbatteva su alcune testate nazionali (fra cui Avvenire, Radio Radicale e il manifesto) e una miriade di testate locali, l’argomento gli procurava imbarazzo. Oggi che il taglio è sospeso, insiste sulla fiducia nel pluralismo e si augura il buon esito delle vicende che mettono in pericolo Il Foglio e Askanews. Lo si capisce da questi dettagli di buon senso: il premier – forse anche il suo team – ha imparato. Vuole significare, senza abbassarsi a smentirsi – era premier allora, lo è adesso – che l’era del Gerarca Minore, il sottosegretario all’editoria Crimi, è finita. E che il successore Martella è stato scelto anche nel segno di un cambiato rapporto con l’art.21 della Costituzione.

PER CONTE E PER IL SUO GOVERNO è il momento del «rinascimento». E infatti è la bella e rinascimentale Villa Madama la ‘location’ scelta per l’evento. La preferita di Berlusconi che per queste cose resta un faro: è stato però spostato un mobile dietro le spalle del presidente, per evitare la somiglianza delle inquadrature.

È FATICOSAMENTE ALLE SPALLE l’anno che doveva essere «bellissimo» e che invece ha visto una clamorosa crisi ferragostana e un paese maltrattato dai capricci dell’altro suo sé. Ma alla fine se non bellissimo, bello sarà pure stato il 2019 per il premier, visto che gli è riuscito il salto mortale di restare a Palazzo Chigi alla guida di due governi di segno opposto.
AUTOCRITICHE? «Qualcosa ho sbagliato», ma quello che vuole giustificare per sé e per i 5 stelle – e non riesce – è essersi affidati a Salvini che – oggi ammette – ha «un modo insidioso di interpretare la leadership». È ancora a Salvini che allude quando dice che bisogna essere «sobri nelle parole, operosi nelle azioni» e ancora per l’uso dei social «troppe dirette distraggono, portano via delle ore preziose per chi ha responsabilità di governo». Comunque, oltreché sulle tv, siamo in diretta facebook.

SOLO CON SALVINI SI CONCEDE la polemica diretta. Per il resto indica, rimanda, annuncia, come chi veri impegni non può prendere, date le distanze della sua maggioranza su molti dossier. Ma il premier ormai ha imparato ad arrotondare gli spigoli, ha rottamato anche le quattro punte della pochette. Per questo, per tre ore, raramente va oltre i titoli del promesso rilancio di governo, che ha più certezze nella scarsa voglia di voto della maggioranza che nei dossier. Ancora tutti «da approfondire».

DEVE «APPROFONDIRE» PERSINO il caso clamoroso della nave Gregoretti, sulla quale lo scorso luglio il suo ministro Salvini tenne ostaggio per sei giorni 131 naufraghi. A puro scopo di propaganda. Nell’analoga vicenda, quella della nave Diciotti, il premier aveva condiviso la responsabilità con l’allora capo del Viminale con un lungo documento scritto di suo pugno, in pratica un’autodenuncia che valse a ‘salvare’ il ministro dal processo.

Stavolta ugualmente – e convintamente – Salvini lo chiama in correo. Conte spiega che deve ancora finire la verifica su «whatsapp, mail e sms» prima di dire una parola definitiva, «sicuramente la presidenza del Consiglio è stata coinvolta sul ricollocamento, non sullo sbarco», «Non è che siccome Conte ora è al governo e Salvini all’opposizione il presidente del Consiglio parlerà contro Salvini». L’ora della verità arriverà entro fine gennaio, quando la giunta delle autorizzazioni a procedere esprimerà il primo voto. Poi toccherà all’aula.

CONTE SI SMARCA DA SALVINI, ma non riesce ad andare fino in fondo. Sulle politiche migratorie rivendica gli «ottimi» risultati del nuovo governo «pur senza clamori e senza dibattiti pubblici», «chiuderemo il 2019 con la metà degli sbarchi dello scorso anno. Abbiamo migliorato il numero dei ricollocati, sono 98 al mese da settembre», annuncia un lavoro «per processi di integrazione più efficaci».
Ma alla prova della modifica dei decreti sicurezza, che è nel programma del nuovo governo, deve ammettere che l’impianto di quei testi è il suo, e l’intenzione del governo è quella di «recepire le preoccupazioni espresse dal presidente Mattarella» sul primo, e di tornare alla formulazione di Palazzo Chigi. Nessun ritiro, nessuna cancellazione.

DA QUI LO SCIVOLONE SULLA LIBIA è inevitabile. Da una parte spiega che lì «c’è un conflitto armato», e che sta cercando di convincere Putin e Erdogan a evitare il peggio. Dall’altra dice che però è «un conflitto armato particolare, la situazione è ancora compatibile con una efficace azione della guardia costiera». L’Onu ha appena detto il contrario, ma il premier deve giustificare la collaborazione italiana con le corvette che catturano i migranti in fuga e li riportano nei lager.

IL RILANCIO DELL’AZIONE di governo non passerà per la Libia, gli alleati che se lo aspettavano se ne facciano una ragione.

MA NEANCHE PER LA NASCITA dei gruppi parlamentari in suo nome. Su questo il premier un po’ si scalda all’indirizzo delle voci circolate su Fioramonti: «Dar vita a nuovi gruppi in parlamento», anche a sostegno del premier, «rischia di destabilizzare l’iniziativa di governo». Quanto al suo futuro di leader politico di centrosinistra, di cui ha apertamente parlato il segretario Pd Zingaretti, Conte non dice no: «In futuro non mi vedo in nessun partito. Non mi vedo legato a una ulteriore forza che possa crescere divisione nell’attuale panorama. Come atteggiamento sono un costruttivo e non un divisivo».

IL PREMIER SA CHE IL SUO FUTURO si gioca adesso. E per questo punta le sue carte sul rilancio del suo governo. Quelli dal 5 settembre sono stati per lui solo «i primi giorni» dell’esecutivo – in realtà quattro mesi – «uno sprint a ostacoli per mettere il paese in sicurezza il Paese con una manovra importante», «ora abbiamo davanti una maratona di tre anni, questo arco temporale ci consentirà di programmare meglio le nostre iniziative di governo e un ambizioso piano riformatore». Ci sono i 29 punti del governo giallorosso, per lo più rimasti sulla carta, ma soprattutto c’è la fatidica verifica di gennaio, che porterà «una lista di priorità significa già operare delle chiare scelte politiche».

MA NON VA OLTRE I TITOLI. Una timida apertura al Pd sull’abolizione della prescrizione: da giurista è in disaccordo con tanti colleghi avvocati, «non è un obbrobrio giuridico» – mancherebbe – «c’è in Germania, c’è in Francia», promette che nella riforma del processo penale si garantirà, come in quei paesi, «la durata ragionevole del processo». Come, non lo svela.

La riduzione della pressione fiscale è affidata all’eterna speranza di «semplificazione», con immancabile proposito di lotta all’evasione. Sul Mezzogiorno promette di rendere operativa la scelta di destinare il 34 per cento delle opere pubbliche, risalente in realtà al 2016. Annuncia un «piano per il sud», ma anche qui il testo ancora non c’è: lo sta scrivendo il ministro Provenzano. Resta sulle generali su Autostrade («la soluzione sul nodo concessioni è in dirittura di arrivo, Non vogliamo fare sconti a nessun privato, vogliamo tutelare il pubblico»), sull’Alitalia («È una compagnia in difficoltà, non vogliamo svilirla né regalarla»), sulla Popolare Bari, dove ammette di non aver anticipato pubblicamente il commissariamento per ragioni di riservatezza d’ufficio («Mettiamo in sicurezza i risparmi dei cittadini e un polmone creditizio fondamentale per il territorio, ma in prospettiva non escludiamo una soluzione di mercato»).

ANCHE ’QUOTA 100’ è un punto delicato per molti futuri pensionabili. Quindi annuncia meditabondo: «È una misura temporanea, ha una durata triennale», come il governo, nei suoi auspici, «Al termine torneremo a interrogarci».