Il premier etiope Abiy ha dichiarato che guiderà direttamente la battaglia contro i ribelli del Tigray: «Da martedì andrò al fronte». In una nota ha invitato tutti i cittadini («quelli che vogliono essere figli dell’Etiopia che saranno acclamati dalla Storia, si sollevino oggi per il Paese. Incontriamoci al fronte») e i leader del partito ad unirsi a lui in prima linea per salvare l’Etiopia dalla distruzione. Fonti locali sentite dal manifesto riferiscono che le dichiarazioni del premier sono sembrate «avventate e molte persone che lo sostenevano sono rimaste interdette e spaventate. Non sembra un leader sicuro e rassicurante».

I COMBATTIMENTI sono intensi in direzione sud dove le forze del Tigray Peoples Liberation Front (TPLF) starebbero avanzando su almeno quattro fronti verso Addis Abeba, ma anche ad est verso l’importante arteria di comunicazione che collega la capitale a Gibuti. Il TPFL avrebbe conquistato Shewa Robit (220 km dalla capitale, secondo fonti locali i ribelli sarebbero già a Debre Berhan, a 130 km dalla capitale, mentre dieci giorni fa erano a 300 km). I droni cinesi e iraniani in dotazione all’esercito etiope che avrebbero dovuto fermare l’avanzata non hanno dato, finora, il contributo atteso. All’inizio perché vi sarebbero stati problemi nei sistemi di controllo che ne impedivano l’uso effettivo in Etiopia, poi una volta armati sarebbero risultati molto imprecisi, anche se adesso pare che i tecnici stranieri abbiano sistemato le criticità.
L’inviato speciale dell’Unione africana Olusegun Obasanjo ha incontrato nuovamente il leader del TPLF Debretsion Gebremichael a Mekellé, e come ha spiegato il portavoce del TPLF Getachew Reda «entrambi hanno concordato di continuare a impegnarsi nella ricerca della pace e della stabilità nel Paese». Dopo la partenza di Obasanjo si è verificato un attacco con droni in una zona residenziale di Mekellè che secondo gli ambienti del

TPLF è segno che il governo di Abiy non è serio riguardo a un accordo di pace e vuole solo «prolungare la sua permanenza al potere». I leader del TPLF vogliono che Abiy si dimetta e il governo permetta l’ingresso degli aiuti umanitari nel Tigray. Il governo etiope chiede che le forze del Tigray si ritirino dai territori Amhara, Afar e riconoscano l’esecutivo in carica. Lo spiraglio appare flebile, infatti tutte le ambasciate occidentali stanno invitando da giorni i propri concittadini a lasciare il Paese al più presto.

LA SOCIETÀ CIVILE etiope della diaspora ha manifestato domenica in 27 città in tutto il mondo sotto l’insegna dello slogan #nomore (mai più) rivolto contro le interferenze occidentali (soprattutto degli Usa), a loro avviso pro-TPLF, contro le informazioni false, mai più Libia, Siria, Yemen: il timore è che, come accaduto in quei paesi, la guerra finisca per coinvolgere, oltre gli attori locali, anche potenze internazionali. Tuttavia, qui il problema sembra l’opposto: dove sono le grandi potenze? Il G7? Il G20? Tutti sembrano sostenere la soluzione africana del conflitto portata avanti dall’Unione africana, ma forse bisognerebbe dare più forza alla mediazione perché la diplomazia è la strada più breve per fare la pace.