Se la prende con D’Alema irridendolo quando l’ex premier appare alle sue spalle con la scritta «No» in un video fatto partire dagli organizzatori: «Toglietelo, magari c’è qualcuno che ha mangiato». Se la prende con Bersani, paragonandolo a Renato Schifani, e con i costituzionalisti «sconfitti dal Tar» che «parlano di dittatura». Assicura che se la sua riforma passerà potrà battere i pugni con Bruxelles chiedendo «riforme strutturali anche in Europa» e che il G7 a Taormina, il prossimo anno, sarà un successo. Promette che ritornerà in Sicilia con Delrio, il 16 novembre, per fare una verifica sulle infrastrutture, un colabrodo nell’isola.

Le sta provando tutte Matteo Renzi per ribaltare i sondaggi che danno il No al referendum in vantaggio in Sicilia e in molte regioni del sud. Un tour referendario, quello del premier, blindatissimo, con la gente tenuta a distanza e i teatri pieni di claque e compagni di avventura, contraddistinto da proteste e scontri, come a Palermo dove la polizia ha respinto a manganellate alcuni studenti e lavoratori che tentavano di superare il cordone che li ha tenuti a centinaia di metri di distanza dal teatro Massimo. In piazza c’erano i lavoratori di Almaviva che avrebbero voluto sensibilizzare il premier sulla loro vertenza ma non gli è stato consentito di avvicinarsi, gli operai della Sis, la società commissariata che ha annunciato il blocco dei lavori per il passante ferroviario, un disastro per la città.

Un one man show che in Sicilia a molti ha fatto venir in mente il Cavaliere, ma allora Berlusconi riempiva le piazze con folle oceaniche. Le piazze del tour di Renzi invece erano piene di poliziotti, le strade chiuse, i negozi con le saracinesche abbassate perché da lì non si passava. In piazza Santa Cecilia, a Palermo, venerdì sera era stato allestito un maxi-schermo all’esterno del teatro che era pieno, ma ad ascoltare il premier all’aperto non c’era quasi nessuno.

Renzi prova a convincere gli scettici sulle ragioni del No e lo fa denigrando chi non la pensa come lui, additandoli come «una variegata alleanza». Il premier cita quindi, mettendoli l’uno accanto all’altro, «D’Alema, Berlusconi, Monti, Fini, Dini, Cirino Pomicino». «Sono rispettabili ma mi colpisce che siano gli stessi che sugli stessi argomenti prima dicevano sì» e se «hanno cambiato idea», argomenta Renzi, «è perché il loro obiettivo è riprendersi il governo che gli abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose». Non risparmia neppure Bersani. Usando ironia e scherno: «Calderoli con la camicia verde ha fatto la legge elettorale e poi ha detto che era una porcata… un altro statista. Calderoli l’ha votata la riforma e poi ha cambiato idea. Come Renato Schifani, che ha parlato in aula e in tv ha detto che avrebbe votato sì e poi ha cambiato idea. Come altri ’… ani’». E’ «una battuta», puntualizza sorridente, ed «è per quelli di sinistra: perché c’è qualcuno a sinistra il cui nome che fa rima con Schifani che ha fatto la stessa cosa… Libertà». Dai compagni agli avversari, è un refrain. «Di Maio ha detto che noi rischiamo una dittatura come Pinochet in Venezuela… Calma, è un errore, può succedere, magari non ha letto bene la mail…». «Mi dicono: tu sei un presidente non eletto… Leggano la Costituzione, nessun presidente del Consiglio è eletto. Perché fintanto che c’è questo sistema ci sono le Camere che danno un voto di fiducia». Quindi la sferzata sui «professori».

«Deriva autoritaria? Deriva antidemocratica? I poteri del premier aumentano? Sono dovuto andare a fare i confronti tv per dire che non è vero».

Per Renzi la riforma serve «non solo per ridurre i costi dei politici, ma per avere un Paese più agile, più snello, senza odio e intolleranza». Poi il solito invito a non personalizzare: «Ci sono persone che mi detestano, non mi sopportano, ma è fisiologico. Nella scheda non c’è scritto: ’Renzi vi sta simpatico o antipatico’ o ’è ingrassato’. C’è un voto che segnerà l’Italia per i prossimi anni e non avrà più alternative». E se «prima erano tutti per il superamento del bicameralismo paritario, quando si è capito che il referendum, anche per colpa mia, poteva diventare l’occasione per quelli di prima di tornare, hanno iniziato a dire ’il bicameralismo paritario c’è sempre piaciuto’». «Lo hanno detto – insiste – dopo che per anni di commissioni, inciuci, non sono riusciti a risolvere le cose». Ma se vince il No «il sistema del ping pong che crea ritardi nel Paese non cambierà più: così come l’abbassamento dei costi delle istituzioni».

Il premier tocca tanti altri temi: quello dei migranti redarguendo l’Ue, quello della lotta alla mafia promettendo la caccia a oltranza al superlatitante Matteo Messina Denaro, quello del fisco con Equitalia sostituita dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ma «non è un condono».