La sparata di Berlusconi, sabato scorso, sui tedeschi per «i quali i campi di concentramento non sono mai esistiti»? «Affermazioni talmente assurde che il governo non le commenta»: così, ieri in una conferenza stampa, il portavoce dell’esecutivo di Berlino, Steffen Seibert. Di assurdo, in realtà, nell’ennesima querelle internazionale scatenata dal nostro ex premier, ci sono molte cose. La più evidente è che Berlusconi e Angela Merkel fanno parte a livello continentale della stessa forza politica, il Partito popolare europeo (Ppe). Formazione che candida a presidente della Commissione il lussemburghese Jean-Claude Juncker, intervenuto anch’egli ieri per censurare pesantemente le parole dell’anziano pregiudicato di Arcore.

«Le recenti dichiarazioni di Berlusconi mi hanno disgustato», ha affermato in una nota ufficiale il numero uno dei popolari Ue. «Ci sono cose sulle quali non si deve scherzare: per chiunque conosca la storia europea, ciò vale in particolare per l’Olocausto». Juncker ha stigmatizzato anche le critiche «politiche» alla Germania pro-austerità, chiedendo a Silvio Berlusconi di rimangiarsi quanto detto e di scusarsi. Invito respinto al mittente, per interposto Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera: «Juncker si dimostra succube di questa nouvelle vague prona alla Grande Germania». E pensare che Juncker è il candidato del partito di Brunetta alla presidenza dell’esecutivo di Bruxelles! Un teatro dell’assurdo, appunto.

La penosa commedia non potrebbe andare in scena, tuttavia, senza la mastodontica ipocrisia dei democristiani della Cdu di Merkel: se la cancelliera lo volesse davvero, gli «azzurri» italiani sarebbero cacciati dal Ppe domani mattina. Anzi: ne sarebbero fuori da anni. E invece, malgrado le dure prese di posizione di esponenti di rango, alla famiglia conservatrice europea fa comodo avere in dote i voti berlusconiani (come quelli del discusso premier ungherese Viktor Orbán), che potrebbero essere determinanti il 25 maggio per battere al fotofinish i socialisti guidati da Martin Schulz. Il «volontario» di Cesano Boscone lo sa bene, e si concede, come suo costume, ogni intemperanza verbale che possa valere, a suo giudizio, un po’ di consenso in più. In Germania, a sottolineare la gigantesca contraddizione in seno ai democristiani sono i socialdemocratici della Spd, che domenica avevano denunciato lo «scandaloso silenzio» della cancelliera Merkel: nonostante la grosse Koalition, ora Spd e Cdu sono due partiti in concorrenza fra loro.

Nell’opinione pubblica tedesca le parole di Berlusconi hanno ovviamente destato scalpore. Per l’autorevole quotidiano liberal-conservatore Frankfurter Allgemeine (Faz), l’ex premier «in campagna elettorale si comporta, esattamente come sempre, in modo ripugnante e senza scrupoli». E nello stesso articolo non si manca di rilevare, con indignazione, che nelle liste di Forza Italia compare il nome di Alessandra Mussolini: per qualunque tedesco civile sarebbe assurdo pensare a un’ipotetica Alexandra Hitler candidata nella Cdu della cancelliera Merkel.
Preoccupa anche il tono antitedesco («Più Italia, meno Germania») di manifesti forzisti circolati in rete. «Non è uno slogan ufficiale del partito», dicono all’unisono il «consigliere politico» Giovanni Toti e il commissario europeo uscente Antonio Tajani, capolista nella circoscrizione Centro. Anzi: lo slogan in questione è finito sul sito di Fi per sbaglio («inseriti autonomamente da un singolo simpatizzante»), ed è stato «prontamente rimosso». L’imbarazzata excusatio di Tajani raggiunge toni lirici: «Forza Italia si onora di essere amica del popolo tedesco e alleata nell’ambito del Ppe della Cdu, con cui in tutti questi anni ha sviluppato un rapporto di leale e costruttiva collaborazione per il bene dell’Unione europea e di tutti i suoi popoli».