La prima enciclica del nuovo papa (Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune, San Paolo, Vaticano, pp.233, Euro 2,50) invita alla lettura e interroga non solo i cattolici e i credenti, ma anche gli atei e gli agnostici di qualsiasi inclinazione politica. A prescindere dal pulpito da cui viene il testo e dalle sue stesse finalità (che, evidentemente, hanno un intento evangelizzatore) il merito delle argomentazioni sollevate da Bergoglio non può essere ignorato. Innanzitutto siamo chiamati a pronunciarci sul fatto se sia o no l’ecologia la questione portante e rivelatrice della crisi di sistema, strutturale e cognitiva, della società contemporanea.

Possiamo chiamare questo nostro mondo in molti modi: creato (anche Engels lo chiamava così), sistema vivente, biosfera, ecosistema planetario, Gaia, Pacha Mama, «madre bella», ma è propriamente l’ecologia, cioè la scienza che studia le relazioni che intercorrono tra gli organismi viventi e l’ambiente fisico, che ci dimostra l’insostenibilità degli impatti antropici oggi in essere.

A queste evidenze scientifiche, che il testo papale elenca nei dettagli, conferendo alla enciclica un inaspettato «sapore laico», si può rispondere in tanti modi. Come fa l’astrofisico Stephen Hawkin: «Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi dell’universo» («la Repubblica», 26 settembre 2015) o come consiglia la Church of Euthanasia: «Salva il pianeta, ammazzati!». Ciò che non si può più fare è continuare fideisticamente ed ingenuamente ad affidare le sorti della vita (delle vite, direbbe Ivan Illich) ai mirabolanti ritrovati della tecnoscienza governata dall’economia di mercato.

Finalmente, diranno molti ambientalisti, era ora! È almeno da Primavera silenziosa della Rachel Carson (1962) che viene denunciato l’ecocidio in corso. Fa piacere, quindi, che un papa riconosca che «il saccheggio della natura» ha inghiottito l’umanità in una «spirale di autodistruzione», tanto che «le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia». Vi sono in giro (altri) capi di stato disposti ad analisi altrettanto precise e radicali? Ma Bergoglio non si ferma qui. La seconda questione che pone è l’intreccio tra ecologia e sistemi socioeconomici che plasmano le relazioni umane seguendo asimmetrie di potere nell’accesso alle risorse.

Le «cause strutturali» della crisi ecologica vanno quindi ricercate negli «attuali modelli di produzione e di consumo», nell’«attuale modello di sviluppo globale», perché «l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente». Nella enciclica non si arriva mai a chiamare con il suo nome – capitalismo industriale – il sistema economico che domina il modo da duecento e cinquant’anni, ma la minuziosa descrizione dei peccati non lascia comunque scampo ai peccatori! Del resto, già nella Evanglii gaudium dello scorso anno c’era scritto: «oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. (…) Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole».

Anche qui qualcuno che ha militato nei movimenti rosso-verdi non ci troverà nulla di nuovo. Barry Commoner molti anni fa scriveva: «Se si va all’origine di ogni problema ambientale si scopre una realtà fondamentale: alla radice della crisi non sta il modo in cui l’uomo interagisce con la natura, ma il modo in cui gli uomini interagiscono tra di loro: cioè, per risolvere i problemi ambientali dobbiamo risolvere i problemi della povertà, dell’ingiustizia razziale e della guerra ( Ecologia e lotte scoiali, con Virginio Bettini, 1976). Il passo tra ecologia e antropologia è breve.

Bergoglio sente la necessità di accompagnare sempre il termine ecologia con l’aggettivo «integrale» a voler intendere che il suo non è un ambientalismo di facciata (green washing, diremmo noi) e che il suo modo di vedere le cose integra natura e cultura, fatti e valori, corpi e menti, immanente e trascendente. Un grande estimatore di questo papa, uno dei fondatori della Teologia della liberazione, Leonadro Boff, dice che per raggiungere una comprensione piena del nostro stare al mondo, sono necessarie «una razionalità sensibile e una ragione cordiale».

Vale a dire che per essere coscienti e responsabili delle nostre azioni non basta una mentalità scientifica e nemmeno solo una visione etico-sociale. Per entrare in empatia con il prossimo e raggiungere una più soddisfacente armonia nei cicli vitali è necessario mobilitare anche le risorse psichiche interiori, sviluppare le capacità contemplative, estetiche, poetiche che sono la più bella, straordinaria e misteriosa esperienza umana che un individuo possa vivere. C’è, insomma, anche un significato spirituale ed etico dell’ecologia.

Anche qui, qualcuno vedrà un nesso con Alex Langer che parlava già di «conversione ecologica», alludendo a qualche cosa di più «profondo» e «soave» di una seppur difficile ristrutturazione degli apparati produttivi inquinanti. E Rosemary Radford Ruether auspicava una umanità capace di vivere in comunità con tutti gli esseri suoi fratelli e sorelle (Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la guarigione della terra, 1995).
Dove la «coraggiosa rivoluzione culturale» auspicata da Bergoglio tentenna è nella mancanza di autocritica e pentimento nei riguardi della responsabilità che ha avuto il pensiero (e non solo quello!) della Chiesa cattolica nel sostenere una interpretazione decisamente antropocentrica e androcentriaca, cioè patriarcale, nelle relazioni tra l’umanità e il creato.

Bergoglio (come già Ratzinger nella Caritas in veritate) ribadisce che «il pensiero cristiano rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopra delle altre creature», critica la «divinizzazione della terra» e «non cede il passo al biocentrismo». Se l’ecologia ha prestato le basi teoriche ad una visione antigerarchica dei rapporti tra gli esseri viventi (vedi l’ecologia sociale di Murray Bookchin), l’ecologia di Bergoglio appare ancorata ad una idea biblica del libro della Genesi che pone l’uomo al vertice della piramide, destinatario ultimo dell’universo di cui dispone per volontà divina, seppur investito da qualche dovere di custodia. Spesso ci si dimentica di ricordare che Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature, ci invita a lodare anche «nostra sorella Morte fisica, da cui nessun uomo può sfuggire».