Anche Franca Valeri, 97 anni appena compiuti, ha detto quello che pensa sul sottile legame di interessi reciproci che da sempre lega un’attrice a un produttore. Si può non essere d’accordo con lei, ma di certo le sue argomentazioni, spiegate in un’intervista a «Vanity Fair», danno da pensare e discutere, non foss’altro perché vengono da un’attrice che non solo ha una lunga e fulgida carriera, ma anche ironia e cervello.
Dice, la mitica Franca, che la realtà è più complicata della rappresentazione che se ne fa ora, dove da un lato c’è chi inveisce contro i maschi porci e mascalzoni e dall’altro chi parte dall’assunto di una sopraffazione costante e continua subìta dalla donna. A lei non è mai capitato di essere insidiata forse perché non è mai stata avvenentissima o forse perché non era il tipo di attrice che ispirava certe fantasie. «Nel mondo del cinema forse più che in altri ambienti – ha aggiunto – l’imposizione di chi detiene il potere passa anche attraverso le lenzuola. La dinamica ambigua tra produttore e attore c’era anche nel passato più remoto. Ma non è sempre una dinamica che debba finire con il farsi scopare. C’è la possibilità di scegliere, rifiutarsi, girare le spalle».

Siamo quindi al «Si può dire di no» che Franca Valeri rivendica come espressione di forza della donna, ben diverso dal rischio di vittimismo secondo lei insito nella recente ondata di denunce. Non è l’unica a pensarla così. In questi giorni si sono scontrate, più che confrontate, posizioni diverse proprio fra le donne. C’è chi sottolinea il rischio di caccia alle streghe, di ansia di visibilità di chi si sveglia la mattina e denuncia una mano sul ginocchio messa vent’anni prima. C’è chi rilancia con un provocatorio: «Se avessi detto di sì forse oggi guadagnerei 8000 euro al mese invece di 2000». Chi sostiene: «Potrei anche accettare uno scambio sesso/carriera, ma prima si firma il contratto e poi te la do». Ci sono attrici che sono andate con Weinstein e si sono ben guardate dal denunciarlo perché ritengono di aver scelto in piena coscienza e averne tratto vantaggi.
Premesso che chiunque con il proprio corpo può fare quello che vuole, possiamo sempre parlare di libera scelta? La libera scelta si ha quando le parti in causa sono alla pari e hanno lo stesso potere contrattuale, economico, esistenziale, emotivo, esperienziale. Basta che uno dei due sia in una posizione di supremazia e la scelta non sarà più libera, ma condizionata da necessità e possibilità.

Se da una parte è vero che la forza delle donne sta nel scegliere di non essere vittime ma protagoniste, dall’altra c’è un sistema basato sui rapporti di potere. Nel caso dello spettacolo quel potere passa anche attraverso le lenzuola, negli altri ambiti diventa potere di ricatto sulle vite, inteso proprio come biopotere. Poter decidere di imporre turni, cambiare mansioni, licenziare, pagare in nero, far lavorare gratis è la legge del «O così o pomì» che certe categorie, soprattutto di giovani, conoscono benissimo.
Le donne che non hanno mai dovuto dire di no perché nessuno ha osato insidiarle sono state più consapevoli, fortunate, disinteressate, assertive, risolte o forse, come ha detto Franca Valeri, meno avvenenti. Se da una parte questo dimostra che la forza di carattere è un’arma ben più potente dell’ammiccamento, dall’altra non elimina la causa del meccanismo del sistema. Quando si dà per scontato che gli avanzamenti di carriera e il lavoro passino per le lenzuola o il ricatto, si accetta che qualcuno abbia potere sulle vite e sui corpi degli altri. Il fatto che sia così da tempo immemore non significa che debba esserlo in eterno. Se si può dire di no, si può anche cambiare.

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