È il giorno del suo ventinovesimo compleanno e Carmelo Hayez si trova «nel pieno di una Grande Depressione, e al culmine di un male oscuro personale, dopo l’ennesima notte d’insonnia». Inizia così il nuovo romanzo di Giulio Neri, Portoro (Il Maestrale, pp. 237, euro 18), dall’esordio fulminante: il capitolo si intitola «Maradona è morto», ed anche se non si tratta del dio del calcio, ma del suicidio di un compagno di squadra del protagonista che porta un soprannome così impegnativo, la lettura di un tale evento, dopo il 25 novembre 2020, provoca un certo turbamento nel lettore. Si aggiunga poi che Carmelo si convince ben presto dello scoppio di un’epidemia nella sua città, Cagliari, e le coincidenze tra letteratura e realtà sembrano essere davvero troppe.

LA STORIA DEL PROTAGONISTA si dipana attraversando luoghi – Cagliari, Valle Hermosa, Milano, Parigi – ed eventi, e sempre di più la sua figura sembra acquisire lineamenti vecchi eppure rinnovati. Sembra insomma, per la sua capacità quasi innata a non decidere, a non concludere, a fallire qualsiasi cosa intraprenda, di ritrovarsi di fronte a una nuova incarnazione dell’inetto. Una sorta di nipotino di Zeno Cosini, anche per l’uso dell’ironia da parte dell’autore nel racconto delle peripezie del suo personaggio principale e dei vari comprimari. Ma uno Zeno attualizzato, dotato di cultura cinematografica, letteraria, artistica (sono vari i rimandi in tal senso) e che soprattutto ha attraversato le trasformazioni della vita odierna. Per di più la trasgressione, soprattutto sessuale, riveste un ruolo fondamentale nella vita di Carmelo, anche se ormai sembra quasi sempre una trasgressione normalizzata: come se alla trasgressione mancasse la legge da trasgredire.

Così, nonostante gli omaggi impliciti ma anche espliciti a un autore come George Bataille, l’erotismo non riesce a diventare «appropriazione della vita fin dentro la morte». Sono altre le strade che Carmelo dovrà cercare di percorrere, andando oltre quel senso di mancanza, se non proprio di morte, che sembra emergere dietro le situazioni che lo vedono coinvolto. Un oltrepassare che forse è simbolizzato dal Portoro che dà il titolo al libro, un marmo scuro con venature d’oro che a lui ricordano i quadri di Pollock su sfondo nero o la Via Lattea in un viaggio interstellare o, ancora, «l’Origine, il perturbamento che attraversa il Nulla primigenio e, con larghe striature d’oro, innesca l’ordine del Tempo».

«PORTORO» è un testo davvero ben scritto, con uno stile in grado di passare naturalmente da eventi drammatici a momenti ironici e di inglobare, all’interno di una scrittura realistica, eventi fortemente simbolici. Basti pensare, ad esempio, all’invasione di topi o ai vari riferimenti a Nosferatu. Giulio Neri è davvero bravo nel delineare la complessa psicologia di Carmelo come nel riuscire a disegnare l’intreccio di relazioni che lo legano agli altri personaggi e a rendere questi ultimi reali, concreti con la loro imprevedibilità e i loro chiaroscuri. Anche i luoghi, gli ambienti e le città dove si sviluppa l’azione, sono resi in maniera estremamente vivida, passando di volta in volta dall’essere un semplice sfondo al diventare parte integrante e fondamentale nella costruzione dell’atmosfera.