C’è chi si spazientisce e lo fa sapere. Emmanuel Macron e Mario Draghi, in una telefonata mercoledì sera, hanno espresso «un’eguale volontà di veder concludersi rapidamente le ratifiche dei piani di rilancio». Altri frenano e distillano il potenziale veleno di correlare i piani di rilancio nazionali alla realizzazione di una serie di riforme individuate nelle «raccomandazioni specifiche» della Commissione dal 2019. La Commissione preme per il rispetto dei tempi e afferma che non ci sarà «imposizione» di piani potenzialmente impopolari, come le riforme delle pensioni e degli assegni di disoccupazione in Francia, del mercato del lavoro in Spagna o della spesa pubblica in Italia. A meno di un anno dal lancio dell’inedito programma di debito comune da parte della Commissione (28 maggio 2020), poi approvato tra molte tensioni dal Consiglio europeo del 21 luglio e adottato formalmente con concessioni ai ribelli dello stato di diritto (Ungheria e Polonia) al vertice di dicembre, ieri il Portogallo ha presentato il primo piano nazionale «di rilancio e resilienza».

PER LA PRESIDENTE della Commissione, Ursula von der Leyen, «questo segna l’inizio di una nuova fase». Per gli altri stati membri, che hanno formalmente tempo fino al 30 aprile, la Commissione continua «a cooperare attivamente per aiutarli a elaborare dei piani di grande qualità», che devono rispettare i «6 pilastri» del rilancio, cioè il 37% di investimenti green, 20% nel digitale, coesione sociale e economica, investimenti nella sanità e nelle politiche a favore dei giovani. «Il nostro obiettivo resta di adottare tutti i piani entro l’estate – ha aggiunto von der Leyen – per che i primi pagamenti possano venire effettuati abbiamo bisogno che tutti gli stati membri abbiano approvato la decisione sulle risorse proprie».

A BRUXELLES C’È una task force di un centinaio di persone che si occupa di seguire l’elaborazione dei piani nazionali, sono al lavoro dallo scorso ottobre e 23 paesi hanno già presentato piani provvisori. Già si sa che Francia, Spagna, Grecia presenteranno i rispettivi piani di rilancio nei tempi del 30 aprile, mentre altri paesi rischiano di essere in ritardo. L’Olanda, per esempio, è già certa di non rispettare la scadenza, per motivi di politica interna (ci sono appena state le elezioni). Per levare i soldi sui mercati (a tassi di interesse bassissimi grazie alla notazione AAA della Ue), ci vogliono le ratifiche dei 27 dell’aumento temporaneo del tetto delle risorse proprie, il meccanismo che sta al centro del NextGenerationEu, il piano inedito di 750 miliardi di euro, addossato al bilancio Ue 2021-27 di 1074 miliardi, che deve permettere all’Europa di uscire dalla crisi del Covid. Per il momento, 17 stati su 27 lo hanno ratificato, saranno 18 a breve dopo lo sblocco della Corte costituzionale tedesca, che mercoledì ha respinto il ricorso presentato dall’estrema destra contro il meccanismo di ricorso al debito comune (Bundestag e Bundesrat hanno già approvato).

DOPO LE 27 RATIFICHE e tutti i 27 piani di rilancio e resilienza, la Commissione ha poi due mesi per analizzare i piani nazionali, che saranno studiati nei dettagli. Sono stati stabiliti 11 criteri per la valutazione, ogni punto riceverà un voto (A B C o D) e per ottenere l’approvazione ogni piano dovrà avere almeno 7 A, per essere poi sottoposto al voto (a maggioranza qualificata) al Consiglio. Cioè, i piani nazionali saranno valutati anche dai «pari» (e qui possono risorgere le forti riserve dei «frugali»). Per sbloccare i soldi ci vorranno quindi altri tre mesi. Ma un pre-finanziamento del 13% potrebbe arrivare prima della conclusione delle procedure (sono circa 9 miliardi per Italia e Spagna, 5 per la Francia).

A Bruxelles dicono che la Ue non sfigura di fronte alle cifre del rilancio di Biden. 1074 miliardi del bilancio 2021-27, 750 del NextGenerationEu (di cui 312,5 di sovvenzioni, che salgono a 390 con programmi annessi), 1850 della Bce per l’acquisto del debito, più i vari «parafulmini» (100 miliardi per Sure, che ha permesso di finanziare nella crisi Covid la cassa integrazione in 19 stati, tra cui Italia, Spagna e paesi dell’est, 200 della Bei per la liquidità delle imprese, 240 del Mes destinato alla sanità).