«La sera prendo un bagno nel Tevere, in certi camerini comodi e sicuri; poi faccio una passeggiata a Trinità dei Monti e godo il fresco al chiaro di luna. I chiari di luna qui sono veramente come uno se li immagina, o come li sogna». Cosi scrive Goethe il primo d’agosto del 1787. Fin dal 1770 papa Clemente XIV aveva ordinato fossero erette accosto alla sponda del fiume alcune capanne coperte «ad uso di fare i bagni» (i «camerini comodi e sicuri» che ci dice il poeta), opportune tanto ad evitare esibizioni di bagnanti che potevano risultare offensive della pubblica morale, quanto a prevenire i possibili pericoli costituiti dalle correnti variabile e dai mulinelli del Tevere. Il papa aveva concesso la costruzione dei camerini ed aveva affidato la loro gestione alla famiglia Gasparoni che, quale canone, si impegnava consegnare ogni anno al sovrano «due libre di cera bianca lavorata».

È che quel tratto sulla riva sinistra del Tevere, da sempre frequentato assai per i quotidiani traffici di merci provenienti dall’alta Valle Tiberina, dopo la costruzione del porto di Ripetta era divenuto uno dei luoghi cittadini di svago e di passeggi, oltre che di commerci. E gli stranieri che soggiornavano a Roma, per lo più residenti nella zona di via del Corso e di piazza di Spagna, ne avevano fatto una meta usuale e gradita, come racconta Goethe.

Ritengo si debba la più attraente e viva veduta del Porto di Ripetta a Gaspar Van Wittel (1655-1736). Essa fu eseguita, credo di non errare, nel secondo decennio del secolo. Egli rappresenta l’infilata degli edifici che si affacciano sul Tevere riprendendoli dalla sponda opposta, da un giardino verde di erba novella, là dove si trova un arco che guarda al porto di fronte. Qui pascolano due o tre cavalli e alcune pecore. Due popolane risalgono un sentiero, e più avanti alcuni borghesi in tricorno, da una balaustra, quasi un affaccio privilegiato, sono intenti ad osservare l’opera dei barcaioli, le operazioni di scarico e d’imbarco, l’aggirarsi attento dei doganieri per i controlli e la concitazione degli incaricati dei ritiri e delle consegne. Per lo più i barconi in attesa coprono con incerate i loro carichi.

E poi si muovono sospinte dal cadenzare dei remi barche più leggere, una di tre pescatori con la lenza. E un pescatore vedi riportare in secco la sua bilancia. Tra le acque, seguendo il filo della corrente, a gran bracciate nuotano distanziati due giovani.

Van Wittel ha scelto un’ora che il sole, pur ancora alto, illumina d’una luce dorata i palazzi e le chiese e promette un pomeriggio sereno sulla scalinata del porto in una stagione che sa di primavera. Le nubi prendono una tinta rosata mentre lente paion accompagnare il fiume nel suo scorrere al mare.

Per certo Van Wittel invita l’osservatore a partecipare della serenità operosa e dell’agio feriale che testimonia in questa sua veduta. Egli illustra il risultato dell’auspicio di vita cittadina sicura, vissuta con diligenza e in assidua operosità che animò la decisione di Clemente XI non appena salito, nel 1700, al soglio, a che si intervenisse tempestivamente a Ripetta col costruire un porto sicuro nel luogo di una riva d’attracco ch’era scoscesa e fangosa, onde non più «accadesse di anno in altro pericolar la persona, e la vita di qualcheduno di quei poveri uomini giornalieri che quivi, in luogo di marinari, danno opera allo scarico delle barche». Su progetto di Alessandro Specchi, i lavori ebbero inizio il 18 ottobre del 1703 e nell’agosto del 1704 il nuovo porto fu inaugurato con grandi festeggiamenti.

«Barbaramente distrutto in occasione dell’innalzamento dei muraglioni che racchiudono il greto del Tevere», della memorabile opera dello Specchi, in Roma barocca, Paolo Portoghesi rileva l’«importanza capitale come primo sintomo clamoroso di quel risveglio di ambizioni creative che caratterizzerà il secondo e terzo decennio del secolo».

Il gioco di concavo e convesso che Specchi imprime alla scalinata di Ripetta, sarà il modulo applicato di lì a poco a Trinità dei Monti, dove il rispetto del «dato naturale immediato» dice Portoghesi si riassume «in un discorso puramente strutturale e geometrico».