La rinascita di Taranto inizia a prendere forma nei nuovi progetti messi in campo per trasformare il volto e il destino della città, processo ora sottolineato da un documentario di Giuseppe Sansonna Il porto di Taranto su Raitre domani alle ore 10.30 per la serie «Di là dal fiume e tra gli alberi». Si apre sugli scenari più spettacolari della città a ricordare le origini antiche e un futuro che sembrava cancellato per sempre. Racconta la «città perfetta, viverci è come vivere in una conchiglia» la definì così Pasolini quando la raccontò in un documentario al sud (e non sono pochi i punti di contatto tra i due sguardi). Era il 1959 e un anno dopo iniziò l’attività siderurgica all’Italsider che cambiò non solo il volto della città ma anche la nascita di una nuova classe operaia, trasformando il carattere dei suoi abitanti, provocando una frattura tra loro e il mare che fino ad allora era stato storia e risorsa e sarebbe diventato soltanto un elemento per raffreddare gli impianti.

UN DELFINO GUIZZANTE sul mare fu preso come segno leggendario da Taras, figlio del dio Poseidone: lì fondò la città, uno di quelle centinaia di delfini che ancora oggi si individuano nelle acque, segno che non sono poi così avvelenate. O furono invece gli spartani a fondarla, né mancano le tracce conservate nello splendido museo archeologico con pezzi unici al mondo come l’Atleta, eroe dei giochi panatenaici con le sue medaglie d’oro rappresentate dalle anfore poste ai quattro lati della sua tomba.
Nel viaggio che ci fa compiere Sansonna si incontrano personaggi e luoghi, epoche e prospettive, ma lo sguardo è sempre puntato sul porto che guarda verso il Mediterraneo, tra il passato e il possibile futuro, cercando di descrivere lo strano sentimento che provano i tarantini nei confronti del mare. Tempra di predatori come i pescatori incontrati al porto, innovatori di tradizioni antiche come il giovane architetto maestro d’ascia ritornato alle costruzioni nautiche in legno, secondo il mestiere tracciato in città da un altro maestro d’ascia ultranovantenne che lancia il suo monito («se muore il mare, muore Taranto»), attenti ai contrasti come i suoi artisti che non hanno scartato gli stridori del metallo, come il compositore Giovanni Tamborrino, anche lui un tempo operaio all’Italsider, diventato poi musicista per Berio e Bussotti, a cui l’orchestra della Magna Grecia commissionò l’opera «Mare metallico» premio della critica.

TRA QUESTE testimonianze si racconta la meraviglia di una città sempre diversa se vista da differenti prospettive, rimasta intatta nella sua struttura per ragioni storiche, a causa del divieto a costruire fuori dalle mura, dal 966 fino all’unità d’Italia quando diventò il porto più grande della marina militare, presidiato dal Castello aragonese con i suoi segreti. Giuseppe Sansonna che nei suoi film ha esplorato personaggi insondabili come Zeman o Tomas Milian fa rinascere da quelle immagini riproposte per anni sempre uguali di una città all’inferno, una speranza per il futuro che si allinea ai concreti progetti ora in corso.