C’è ancora più d’uno disposto a sorprendersi se il più antico festival di ricerca italiano, la Mostra di Pesaro, sconfina nell’hard. La proiezione di Queen Kong di Monica Stambrini ha ottenuto l’”ovvio” successo di pubblico, e gli altrettanto prevedibili disorientamenti di qualche critico. Ci ha divertito invece la compresenza di un concerto di Violante Placido, che in un biopic interpretò Moana (con Giorgia Wūrth as Cicciolina).

Per fortuna il corto di Monica Stambrini non si risolve in qualche facile trovata (la pur simpatica iniziativa Le ragazze del porno in cui s’inserisce rischia di diventare una falsa pista), non è cioè “finalmente” un porno fatto da donne ma un’operazione giusta e consapevole che compie e dà un senso a molte cose presenti nell’hard italiano sin dal suo emergere dal soft all’inizio degli anni ’80. Prima ancora vi fu l’hard americano del grande Gerard Damiano di Deep Throat e The Devil in Miss Jones, che realizzò ciò da cui tutto il cinema fu sempre tentato: dare a una presenza di corpo femminile il dominio assoluto sull’immagine, immettere ogni spettatore nel destino di centrare il proprio sguardo su quel corpo. Forse perciò il porno è stato maschilista? Indubbiamente le arretratezze del sociale, il suo voler dominare il femminile, vi permangono fino ad oggi; ma nel suo punto cinematografico di forza l’hard ha contraddetto il sociale, ha affidato alle presenze dei corpi femminili una padronanza totale sull’immagine. L’hard è un compimento del nucleo essenziale del cinema, quello dreyeriano, che contraddice l’immagine come messa a morte con la messa in scena del far persistere la vita.

Ogni spettatore (anche il più inconsapevole o persino misogino) che oggi attraversa il moltiplicarsi delle immagini hard in rete, vive a ogni visione il contraddirsi tra l’immagine distruttiva e l’immagine che cerca incontri di sguardi, flagranze di apparizioni. L’infinitezza di presenze di cui poter sognare la penetrabilità non è un loro “consumo”, è anzi l’inconsumabilità del reale nell’immagine. Monogamia, monoteismo, totalitarismo appaiono insomma soluzioni insoddisfacenti per il cinema, che vive della pluralità. Lo spettatore trova in un’Elecebra la capacità di sfidare nel proprio sguardo anche le azioni più degradanti, e ogni performer da webcam può incontrare sguardi innumerevoli.

In questi decenni l’hard ha superato il ghetto già ben contraddetto dall’inserirsi dei primi registi (Joe D’Amato in primis) nel luogo-sala: è lì, non in qualche bordello o negli ancora inesistenti luoghi intimi di visione (videoregistratore, computer) che sono apparsi i sublimi slittamenti di un’Annamaria Napolitano, il concedersi contraddittorio di Paola Senatore e Lilli Carati, quello inconsapevolmente totale di Paola De Simone o da esperienza “folle” di Marina Frajese, il restare alle soglie di Leonora Fani… Il recente film di Carmine Amoroso Porno & libertà, nonostante qualche bella testimonianza (da Giuliana Gamba a Marco Pannella), non coglie che le cose importanti dell’hard italiano precedono Schicchi, partono appunto da D’Amato, e i “truci” Arduino Sacco e Rino Di Silvestro (il soft La lupa mannara trova nei trucchi sul corpo di Annik Borel la miglior anticipazione di Queen Kong) sono più rivelatori degli addolcimenti politicamente corretti.

Sono state le femministe-cinefile Annabella Miscuglio e Rony Daopulo ad aver vissuto in Italia con la giusta non mediabilità il muoversi sul set di una Sabrina Mastrolorenzi o il set di prostituzione di Véronique Lacroix.

In tempi recenti la lussemburghese franco-italiana Deborah De Robertis ha coniugato l’hard con la performance sotto il dipinto dell’Origine du monde di Courbet. Altrove il territorio del videoclip più erotizzato ha perforato i montaggi di questo genere, e Lady Gaga ha coinvolto le flagranze liquide di Millie Brown in un suo concerto. Giacché l’hard condivide col mélo (e non a caso, più che due generi, sono qualcosa che appartiene al core del cinema, sia nel senso di hardcore che di cuore) delle flagranze liquide, dalle lacrime all’eiaculazione.

Potremmo allora definire Queen Kong di Monica Stambrini un hard asciutto (sia nel senso del rigore che in quello di assenza del cumshot): asciutto ma realmente coinvolto. Regista, attrici (l’hard Valentina Nappi e l’insertata Janina Rudenska), attore (Luca Lionello), la bravissima montatrice (Paola Freddi) ci fanno percepire un coinvolgimento, raro anche per molto del cinema italiano d’oggi fuori dai recinti hard.