Le conseguenze dell’ondata di disseccamento rapido che ha colpito gli ulivi sono arrivate: produzione di olio abbattuta del 60% e olivocoltori in ginocchio. E per la Puglia, principale produttore italiano di olio, è un disastro. Quasi a simbolizzare il punto di non ritorno della catastrofe, il disseccamento ha raggiunto anche l’ulivo millenario di Piazza Sant’Oronzo, a Lecce, fra i simboli della città.
Il mondo agricolo scende in piazza ma lo fa spaccato, in sedi separate. La Coldiretti e Unaprol da una parte e Confagricoltura, Cia, Copagri, Lega delle cooperative e organizzazioni anche non agricole dall’altra. La mancanza di coesione nella protesta è conseguenza delle divergenze fra le rappresentanze del settore sulla gestione dell’emergenza e i responsabili politici, ma fa anche da specchio alla complessità di un problema arrivato ad essere così grave in particolar modo per il tempo perso ad individuare una strategia di intervento efficace. Da questo punto di vista è un tiro incrociato. Di aver fatto perdere tempo con teorie fantascientifiche vengono accusati gli agricoltori che sperimentano e promuovono metodi di cura degli ulivi alternativi all’uso massiccio di pesticidi e all’eradicazione delle piante.

Ma anche le misure draconiane sostenute da istituzioni europee ed italiane arrivano in conseguenza di ritardi e responsabilità sottaciute.

È quanto viene sostenuto fra gli altri dal Forum Ambiente e Salute e dal «Popolo degli Ulivi», un insieme di comitati e cittadini del Salento, che lungi dal sentirsi negazionisti o stregoni, da molto tempo invitano ad guardare alla sindrome del disseccamento in maniera diversa, più problematica e articolata. A partire dal nome appunto, perché l’emergenza è quella del disseccamento delle piante, che viene chiamata dai patologi vegetali «Complesso del disseccamento rapido dell’olivo» (CoDiRO) (Martelli, 2013) «ovvero una malattia provocata da una serie di fattori: oltre al batterio Xylella, potrebbero concorrere anche alcune specie di funghi e il rodilegno». L’eradicazione del batterio e del suo vettore, un coleottero, non sarebbe quindi quantomeno una soluzione sufficiente e lo dicono a gran voce i tanti olivicultori che vedono le loro piante di ulivo disseccate con le radici scavate dalle gallerie di larve e attaccate dai funghi; ed è una pubblicazione su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, pietra miliare del mondo scientifico, ad affermare che Xyella si riscontra anche su piante verdi e che contemporaneamente manca su ulivi preda del disseccamento.
La questione è complicata e nel tempo si è andata contaminando di semplificazioni e complottismi, nonché dell’intervento della magistratura che indaga su presunte diffusioni colpose del batterio e ritardi nell’intervento.

Esistono anche una serie di fatti storici che contribuiscono a disarticolare linearità dell’equazione disseccamento = Xylella e che vengono segnalati dal Forum Ambiente e Salute. Per esempio, contrariamente a quanto si pensa Xylella fastidiosa non si è materializzata per la prima volta in Europa con il disseccamento degli ulivi Salentini: il batterio è stato individuato anche nel 2011 in Francia, nelle piante di caffè e prima ancora in Kosovo, sulle viti, nel 1998. Inoltre le prime segnalazioni da parte degli olivocultori salentini risalgono al 2008, difatti nel 2010 si era svolto a Bari un work-shop internazionale sul rischio rappresentato dal batterio nel bacino del Mediterraneo: questo evento, insieme alle ripetute e allarmate segnalazioni, avrebbe dovuto suscitare una maggiore tempestività rispetto all’ottobre 2013, quando il Ministero dell’Ambiente riconosce in maniera ufficiale la presenza del batterio. Ci sono inoltre dei precedenti storici relativi al fenomeno del disseccamento che non vengono mai tenuti in conto: il Salento è stato già colpito da tre epidemie di disseccamento degli ulivi: all’inizio del XVIII secolo, tra la fine e il successivo, a cavallo tra questo e il primo decennio del ‘900; quest’ultima con singolari analogie con quella attuale, in particolare per le specie vegetali immuni e quelle contagiate

Quello che gli olivocoltori «ribelli» chiedono è una ricerca pluridirezionale, differenziata, non monopolistica dove filoni di ricerca alternativi non siano accusati di eresia: il tutto con il solo scopo di arrivare a una comprensione maggiore del fenomeno ed evitare di devastare