Dubbiosi e totalmente all’oscuro. Se il ponte di Genova lo dovrà ricostruire Fincantieri, i lavoratori della azienda di stato ne hanno letto solo sui giornali. Fino a qualche giorno fa la città maggiormente indiziata per la costruzione del ponte in acciaio che dovrà sostituire il Morandi era Palermo. Dopo le dichiarazioni di Bono il giorno della presentazione del progetto – «sarà un ponte a chilometri zero» – è passata in testa Sestri Ponente, storico cantiere a Genova.
Un derby per ora tutto sulla carta. Con una scia di dubbi. Il primo è comune a tutti: «Fincantieri ha sempre fatto navi, è la sua vocazione», sottolinea Fabrizio Potetti, responsabile nazionale Fincantieri per la Fiom. «L’azienda, e cioè Bono, perché in Fincantieri comanda lui e non delega niente a nessuno, si è inventato questa cosa del ponte ma non abbiamo alcuna informazione. E il rischio è che a costruirlo siano le ditte in appalto». In realtà la Fincantieri Infrastructure, piccola branca della capostipite con sede operativa a Verona, «è specializzata nella progettazione, realizzazione e montaggio di strutture in acciaio su progetti di grande dimensione». Verona è anche la città della Cordioli (di Valeggio), azienda di carpenteria salvata e acquisita da Fincantieri pochi giorni prima del crollo del ponte Morandi, il 3 agosto.
Se si va a vedere quali ponti costruisce Fincantieri Infrastructure i dubbi aumentano. Sono due – uno in Belgio (Albertkanaal) e uno sulla Vigevanese (Pavia) – ma entrambi hanno due arcate da rispettivamente da 128 e 140 metri. Niente di lontanamente paragonabile agli 1,2 chilometri del Morandi.
«È dall’inizio dell’anno che abbiamo cominciato a costruire ponti», racconta Roberto Pirrotta, Rsu di Palermo. «Noi vorremmo costruire navi, ma da anni in bacino non ce ne fanno più fare. Facciamo solo pezzi che poi portano negli altri bacini più grandi e ricchi del nord. I pezzi di ponte sono costruizioni simili a quelle delle navi: è sempre ferro da tagliare e saldare. Li chiamano “manufatti” con un numero e “destra” o “sinistra”: non abbiamo nessun contatto con Fincantieri Infrastructure, c’è solo un supervisore che ci mostra i disegni. Di certo quello per Genova sarebbe molto più grande», continua Roberto. «All’inizio eravamo contrari, ma al lavoro non si dice mai di no, specie dopo aver passato anni come il 2011 quando siamo stati a lungo in cassa». Oggi a Palermo ci sono 440 dipendenti diretti Fincantieri. Ad essere «sparito» è l’indotto. «Esco da una riunione con i 150 lavoratori delle cooperative in appalto che da quando facciamo ponti lavorano pochissimo. Per questo abbiamo chiesto che per i pezzi di nave si faccia qua la spazzolatura e la verniciatura, diversamente questi lavoratori finiranno presto gli ammortizzatori e saranno licenziati. L’azienda si è presa due giorni per rispondere, speriamo bene», conclude Roberto.
Ancora meno informazioni hanno i 650 di Sestri Levante. «Abbiamo letto le dichiarazioni di Bono ma non sappiamo niente», racconta Diego Dalzotto, rsu nel cantiere storicamente fucina di Lotta Comunista. «Tecnicamente non credo ci siano problemi a costruire il ponte: le nostre salderie sfornano pezzi in acciaio. Stiamo costruendo 3 navi da crocera per la Virgin col pieno di lavoro da metà anno prossimo: le salderie sono però le prime a finire». Qui il problema dell’indotto è diverso: ci sono 1.500 lavoratori delle cooperative con condizioni salariali e di diritti assai peggiori dei dipendenti Fincantieri. «In fabbrica si parla del ponte: è chiaro che da genovesi saremmo orgogliosi di ricostruirlo. Oggi però oltre al modellino non c’è altro», conclude dubbioso Diego.